La prima cosa che ti viene in mente di fronte all’impresa di
Alex Schwazer è una domanda, che dentro contiene già
una mezza risposta ma anche un’incoraggiante lezione per
tutti e, soprattutto, una grande speranza per il futuro: ma allora,
quando c’è il talento, si può andare
forte e vincere anche senza bisogno di doparsi? Sembrebbe
di sì. Però a patto che il talento venga allenato
bene, da tecnici competenti, da gente capace di plasmare
l’anima oltre che i muscoli e i polmoni. A patto che il
talento non sia considerato dal Palazzo dello Sport solo merce da
medaglia, mera pedina per incrementare la contabilità dei
titoli, da un sistema che alimenta la propria forza, la propria
visibilità, la propria credibilità e il proprio
successo solo ed esclusivamente attraverso in conteggio delle
medaglie. A patto che l’atleta sia considerato un
uomo e non un numero, un automa da spremere fino in fondo,
per farsi belli con i suoi successi. Il che, con Schwazer,
abbandonato a se stesso da chi sapeva (o avrebbe dovuto sapere) e
ha fatto finta di non vedere, voltandosi dall’altra parte,
per poi condannarlo, non è accaduto. Il paradosso
è che, con l’aria che tira, la malconcia atletica
italiana dovrà probabilmente aggrapparsi a lui,
l’estate prossima, per non tornare a casa da Rio a mani
vuote.
Ultimo aggiornamento: 08:57
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