Marco Pantani, i complotti e i sospetti
De Zan chiede un po' di giustizia

Domenica 1 Marzo 2015 di Claudio Strati
Davide De Zan alla serata di Incontri senza Censura sul suo libro: Pantani è tornato

BASSANO - "Doping o non doping, era il più forte". Davide De Zan lo dice più volte, c'è un doppo binario nella Pantani story: da una parte la realtà del doping, dall'altra la grandezza e la passione e l'adorazione dei tifosi che ne hanno fatto il più amato, nonostante vittorie eclatanti ma non in grande serie, un Giro e un Tour.

Il giornalista di Mediaset, ospite a Incontri senza Censura della libreria La Bassanese di Marco Bernardi, di fronte a una platea foltissima (in primo piano la bici Wilier Triestina con cui il Pirata corse il Tour) illustra le tesi che ha condensato nel suo libro, "Pantani è tornato".

Ha fatto una lunga inchiesta, ha ricostruito, parlato con tantissima gente. L'amicizia che lo legava a Marco Pantani lo ha spinto a seguire il filone della riabilitazione. Almeno dove si può, negli episodi centrali della sua carriera e della sua vita, quello stop a Madonna di Campiglio il giorno prima di vincere il Giro, il 5 giugno del '99, con Marco scortato dai carabinieri che se ne va attonito, e quella morte piena di misteri in una pensioncina di Rimini, il 14 febbraio del 2004, un giallo che grida bisogno di verità.

"Su Rimini non so, su Campiglio qualcosa sapremo" ripete De Zan, che si sente sicuro di qualche novità in arrivo. Il suo racconto insiste soprattutto su quel giorno. E inquadra bene il momento storico sportivo ("Erano gli anni dell'eritropoietina, l'Epo" commenta il conduttore Eros Maccioni, giornalista che di ciclismo ne sa) in tutte le sue sfaccettature di un sistema che ciascuno può giudicare.

De Zan ricostruisce "la porcata". Cosa succede? Marco sta vincendo il Giro alla grande e quella sera, racconta De Zan, "sa che il giorno dopo sarebbero giunti i controllori". Allora con "la centrifughina che avevano appresso" lui aveva misurato il suo ematocrito, con risultato 48. Qundi a posto, visto che il limite è 50. Il giorno dopo, però, il controllo ufficiale evidenzia un 53: "La cosa che ha messo fine alla sua vita". "Marco non ha mai detto del 48 - racconta il gornalista - ma io ho due testimonianze che ho dovuto strappare, e anche quella di una terza persona, Fabrizio Borra, uno dei fisioterapisti di Pantani. E poi ho sentito anche dieci specialisti: impossibile che il valore sia cresciuto del 10 per cento in poche ore".

Cosa dice De Zan? "Nell'esame del sangue di Pantani il valore delle piastrine era crollato, cosa mai accaduta in tre anni nei quali si controllava una volta al mese. Ovvero le solite 150 mila quella volta risultarono 100 mila. Il dubbio è che il sangue sia stato fatto sedimentare per un 20/25 minuti, e che sia stato buttato via un po' del plasma rimasto in superficie, dove tra l'altro galleggiano le piastrine. Ciò spiegherebbe sia il valore più alto misurato, sia il crollo delle piastrine". A maggior ragione, ha aggiunto De Zan, a Imola in un ospedale pubblico poi Marco si fece controllare l'ematocrito di nuovo e il risultato fu 48. Con le piastrine rilsalite a 150 mila. E dunque? "Prova decisiva. Dissero: sì, fece l'esame dopo aver preso un farmaco diluente. Ma se fosse davvero così nella diluizione sarebbero discese pure le piastrine, che invece erano tornate al top".

Insomma un complotto. Accuse pesanti, "più di un sospetto", con sullo sfondo lo scenario ipotizzato da De Zan, il giro delle scommesse per miliardi che non voleva Pantani vincitore di quel Giro. "Io spero che alle mie parole si sovrappongano quelle dei magistrati" ha aggiunto De Zan. Maccioni ha anche ricordato che Vallanzasca rivelò che gli avevano detto, in carcere: "A Milano non arriva". Ma il giornalista di Mediaset ha detto, secco: "Una tesi da me ignorata nelle ricostruzioni".

Questa è una pagina su cui si può ridare un po' di giustizia a Pantani. L'altra è Rimini, la tragedia. Un suicidio per overdose di uomo in situazione di furia psicogena, disse la verità ufficiale. Ma Davide De Zan non ci crede: nella camera d'albergo una devastazione, specchi frantumati, mobili rovesciati, materassi ribaltati, insomma un'iraddiddio eppure quelli della stanza accanto non sentirono nulla. E lui con le mani perfette, neanche un graffio, ma sangue e "neve" dappertutto (però un po' di fumo nascosto legato sotto il letto), strisce sul pavimento come di un cadavere trascinato e quella pallina di pane e cocaina, che lui avrebbe espulso dalla bocca, così bianca intonsa, dentro una pozza di sangue. E le indagini, e i rilievi? Presa neanche una impronta digitale, agenti entrati senza precauzioni in quella stanza a soqquadro nella quale Marco avrebbe ingerito, da solo, cocaina ("Che prima di allora mai aveva mangiato") in dosi massicce, sei volte la dose letale. E poi quella telefonata alla reception di Marco, "Chiamate i carabinieri", ma nessuno fece il 112...

De Zan cita mamma Tonina: "Allora ha frequentato la peggio specie al mondo". Qui si ferma. Non sa se le autorità potranno riaprire il caso, ma racconta tutti i suoi dubbi e spera.

Il pubblico applaude, c'è un clima agrodolce. Sì, bisogno di giustizia per Pantani, ma forse difficile dare giustizia al ciclismo, almeno di quegli anni. Era un ragazzo simpatico, dice De Zan, romagnolo verace, guascone. Un campione. Tutti con lui, poi in un attimo tutti a girargli le spalle. Ma è entrato come pochi, comunque sia andata, nel cuore della gente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci