Argentin, il signore delle corse di un giorno: «La prima bici e la maglia di lana»

Lunedì 15 Maggio 2017 di Edoardo Pittalis
Argentin, il signore delle corse di un giorno: «La prima bici e la maglia di lana»
La mia prima volta al Giro d'Italia ero bambino, stavo dietro una curva del Piave accanto a mio padre. Erano gli anni di Merckx e Gimondi. I ciclisti passavano diretti a Bibione per la volata e ho visto uno svedese che mi sembrava gigantesco, anzi erano due, no tre, no quattro, e tutti biondi. Erano i quattro fratelli Petterson: Gosta, Erik, Sture e Tomas. Mi colpì Gosta che era alto quasi due metri e quell'anno vinse il Giro. Decisi che un giorno lo avrei corso anch'io il Giro.

E Moreno Argentin, 56 anni, di San Donà di Piave, il Giro lo ha corso davvero. Ha imparato da piccolo la fatica e la religione della bicicletta, il mezzo che ha aiutato i veneti ad andare al lavoro nelle campagne e nelle fabbriche, a far festa la domenica, a trovare la morosa. Ha avuto la fortuna di un nome che sembrava nato per incitare sulla strada: Dai Moreno!. Arrotondato, come la ruota della bicicletta, come la spinta in volata. Col ciclismo Argentin è diventato grande, fino alla conquista del titolo di campione del mondo in uno sprint perfetto. 

Il primo Giro d'Italia da corridore e la maglia rosa?
Avevo vent'anni, aspettavo le tappe venete, ero emozionato all'idea di poter salutare i parenti ai bordi della strada. Andavamo da Bibione a Ferrara, sentii gridare Dai Moreno, era mio padre Pietro. Ho vinto due sprint, a Cosenza e a Livorno, non male per un esordiente. La maglia rosa l'ho indossata anche per settimane di fila, pure a distanza di dieci anni. Nel 1993 la tenni per metà Giro, poi la persi nella cronometro di Senigallia a favore di Indurain. Il cronometro era la mia pecca. 

La prima bicicletta?
Me l'ha regalata mio padre, ero un bambino ribelle, ultimo dopo tre sorelle. Anche mia sorella Tosca è diventata ciclista professionista e ha corso i mondiali con la maglia azzurra. Papà Pietro stravedeva per Fausto Coppi, avrebbe voluto correre, ma la guerra gli ha portato via gli anni migliori, una mano e anche la bicicletta che prima di partire per il fronte aveva nascosto, convinto che nessuno l'avrebbe trovata. Quando è tornato, dopo una lunga prigionia, ha scoperto che il fratello si era venduto la bici. Faceva il guardiano ai cantieri navali Breda di Porto Marghera. Mi ha comprato la prima maglia che era di lana grezza e pungeva. L'ho conservata, è accanto a quella iridata. Erano ciclisti poveri. I Cetra cantavano: Ho messo la maglietta già di lana Ciao Mama. Le magliette di lana non si mettono più nel ciclismo moderno, ma continuano a riscaldare i ricordi. 
 
Chi è stato il primo allenatore?
Faceva tutto mio padre, ma è stato fondamentale nascere e crescere nel Veneto povero ma dignitoso dei primi anni Sessanta. Non avevamo il televisore, dovevamo andare a vedere la tv al bar o nella parrocchia. Mia madre faceva rispettare il coprifuoco della vigilia, veniva a cercarmi nella piazza dietro la chiesa di Passarella dove giocavo a pallone. E' stata la mia prima dietologa, per me c'erano sempre il riso e la bistecchina che allora era un lusso. Quando ho incominciato a correre da professionista mi servirono puntualmente riso e bistecca, mia madre li aveva anticipati. Applicava alla lettera anche le leggende, come quella della bistecca sotto il culo quando ti faceva male per le troppe ore in sella. 

E la prima squadra?
E' stata l'Uci Basso Piave, poi la Crich Libertas, una fabbrica di biscotti trevigiana che aveva l'appalto per le caserme. Libertas come la Dc perché allora i partiti appoggiavano lo sport dilettantistico. Da juniores ho corso per una società di Portogruaro sponsorizzata da un appassionato commerciante di scarpe che aveva come sigla SPAIP: Sempre Per Accontentare Il Pubblico. Le prime gare erano una festa che coinvolgeva tutta la famiglia, specie le domeniche di primavera, la sera ci permettevamo anche la pizza, un vero lusso.
Ha avuto anche uno sponsor un po' singolare.
Il commendatore Alcide Cerato di Legnaro nella Bassa Padovana per me è stato un secondo padre, aveva corso da professionista con la Molteni e dopo un incidente si è inventato impresario di pompe funebri, uno dei maggiori del Veneto. Però sulla maglia avevamo il nome San Siro. Dormivano in un capannone, a contatto con le casse da morto. Ci trattava da signori, con la cameriera che serviva a tavola.

Quei tre anni da più forte del mondo e la maglia iridata?
Nel 1984, al mio terzo Giro d'Italia ho capito quali erano le mie possibilità: ero un corridore vincente nelle corse di un giorno. Ecco spiegati i successi nelle corse del Nord: quattro Liegi-Bastogne-Liegi, tre di fila, e una Freccia Vallona. Il ct Arturo Martini mi ha responsabilizzato subito e il mondiale ti crea una tensione unica. Nel 1985 sul Montello le responsabilità erano grandi, ero nella fuga giusta, ci siamo controllati a vicenda con LeMond e abbiamo lasciato scappare l'olandese Zoetemelk che poi ha vinto. Sono arrivato terzo. Il capolavoro mi è riuscito a Colorado Springs, lontano da casa, dai riflettori: sono andato via con altri a 70 chilometri dal traguardo e non c'è stata storia col francese Mottet. L'anno dopo sono arrivato secondo, ho sbagliato a lasciare andare via Roche che aveva vinto Giro e Tour. Ci ha separato un secondo, un maledetto secondo, ma è stata una vittoria meritata.

Le cronache più recenti parlano di lei anche per le disavventure giudiziarie...
E' una cosa che vivo male. Non è possibile che se uno cerca in internet la voce Moreno Argentin, trovi non i miei successi sportivi, ma questa storia della condanna a 12 mesi! Non hai le conoscenze necessarie per difenderti dalle iene che trovi nel mondo finanziario e lavorativo. Però mi chiedo dove ho sbagliato per meritare la condanna? Era un periodo di crisi nel settore immobiliare, avevamo 70 appartamenti a Portogruaro, coperti con mutui bancari. Ho firmato come amministratore 40 preliminari, 39 sono andati a buon fine, per l'ultimo io e l'agente immobiliare ci siamo incredibilmente visti accusare di truffa dopo due archiviazioni. Ma aspetto l'appello: è come una volata, studi gli avversari, li affianchi, ci sgomiti e piazzi lo sprint.
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