Doping di Stato, l'Armata Rossa non esiste più: a Rio andranno solo Darya Klishina e Yulia Stepanova

Venerdì 22 Luglio 2016 di Piero Mei
Yuliya Stepanova
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L'armata russa non è forse più l'Armata Rossa di una volta, neppure sulle piste e le pedane dell'atletica leggera: però è stata capace, a Londra 2012, ultima edizione fin qui dei Giochi olimpici, di piazzarsi al secondo posto nel medagliere di specialità, preceduta solo dagli Stati Uniti. E fu quarta nel medagliere a tutto sport, preceduta da Usa, Cina e padroni di casa del Regno Unito. Per restare negli stadi loro, ai mondiali di Mosca 2013 la Russia fu prima (si farà dell'ironia: e ti credo, dopo il dopingleaks che è saltato fuori), e due anni dopo, a Pechino 2015, fu solo nona, là dove dominarono il Kenya di lunga corsa e la Giamaica sprint, altre chiacchieratissime nazioni. Eppure l'assenza della Russia ai Giochi di Rio, almeno nell'atletica leggera ma arriveranno altri bandi con quel listone di controlli nei quali andava tenuto d'occhio più il controllore che non il controllato, leverà sapore a certe gare. Non c'è più un Borzov, l'avversario di Menna; non c'è più un Bubka, l'uomo volante. Però, specie nel ramo dei concorsi, i salti in primis, il no ai russi sconvolgerà pronostici come già stata rivoluzionando la lista del betting, le quotazioni delle scommesse.

LA BELLA ELENA
Perché fra le altre bannate (termine da web che esprime l'idea) c'è per esempio la bella Elena Isinbayeva, la donna volante, la Bubka del gentil sesso, la quale, pare, ha avuto la gran mossa di dignità di dire a chi le proponeva di presentarsi sotto la bandiera neutrale e pacifista del Cio, grazie no, io sono russa.

LA MOSSA
Una piccola presenza ci sarà: due atlete hanno deciso di mettersi sotto il Sesto cerchio, come già viene chiamato il cerchio dei rifugiati. Il Cio ha fatto una grande mossa di solidarietà e accoglienza, consentendo agli atleti fuggiti da guerre e persecuzioni di essere presenti con la bandiera del governo internazionale dello sport. A questo cerchio magico apparterranno anche Darya Klishina, saltatrice in lungo, la quale allenandosi da tre anni in Florida è considerata una di loro dai neo fondamentalisti del doping (come se gli americani non lo facessero...) e Yulia Stepanova, mezzofondista, squalificata di suo per doping, ma pentita e collaboratrice di giustizia, se questa sommaria è da considerare giustizia. E' da tener presente che il medagliere globale della Russia, che da zarista si vide poco e nel dopoguerra da Unione Sovietica molto si vide e vinse, ha accumulato un insieme di 268 medaglie olimpiche fino a Londra, senza contare quelle che vinse lo stato che non c'era, la Comunità degli Stati Indipendenti che fu l'artificio sotto il quale tenere insieme gli atleti dell'Unione Sovietica che andava dissolvendosi, per Barcellona '92. Fu quella un'iniziativa politica di rara sensibilità: l'Olimpismo o è globale o non è, e la spartizione per federazioni non può portare a niente di buono. Per prevenire la decisione sfavorevole (ma senza riuscirci) la Russia ha anche messo in onda un docufilm di 25 minuti, prodotto dal canale statale MatchTv, con immagini dedicate ai campioni che non vedremo a Rio, quelli colpiti nel mucchio. Un po' come quando si squalifica un'intera curva dello stadio per le colpe di pochi imbecilli o di chi li strumentalizza.
 
Ultimo aggiornamento: 09:46

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