Pellegrini, il tecnico Giunta: «Un'emozione che ripaga dei tanti sacrifici»

Giovedì 27 Luglio 2017 di Piero Mei
Pellegrini, il tecnico Giunta: «Un'emozione che ripaga dei tanti sacrifici»
BUDAPEST La Sierra Nevada, quella dove cercare l’oro, non è stata, per il “Federica Team”, la catena montuosa della California, dove nell’Ottocento correvano carri, cavalli, indiani, cowboys eccetera eccetera; è, montagna sempre, quella dell’Andalusia, Spagna, Granada ai piedi. Quella che Matteo Giunta descrive come uno scenario un po’ da Shining e un po’ da monastero di clausura (due cose che si sfiorano, può darsi), “ti alzi la mattina, colazione, allenamento, ritorno in camera, riposo, mangiare, allenamento, ritorno, riposo, mangiare, a dormire”.

E’ lì che la Pellegrini si è rifugiata per la riuscitissima corsa alloro di Budapest, che magari nemmeno se lo dicevano fra di loro, Federica e Matteo, che questa era la ricerca, accontendandosi, tutt’al più, di parlare di medaglia. Matteo è l’allenatore della Pellegrini; giovane, pesarese e cugino di Filippo Magnini, è stato al centro del gossip, e colpi di coda ce n’è ancora, a proposito della vita sentimentale di lei, quella in cui gli incroci fra muscoli e cuore (che è anch’esso un muscolo) hanno riempito tante chiacchiere e paginate. “Ormai ho fatto le spalle grosse, mi ci scivola addosso”, sorride Matteo nell’unica concessione agli amanti del piccante. “Ci sono allenatori che non vogliono allenare una ‘coppia’”. Ce n’è che spingono alla separazione... “Io non sono contario, però è chiaro che le cose influiscono, quando vanno bene e quando vanno male”. Matteo allenava entrambi: “C’è stato un momento che è stato necessario che si allenassero separatamente per ritrovare la serenità che avevano perduto”. La serenità è tornata, il resto boh.

Giunta è anche un rappresentante di una Next Generation, che ormai è già sull’onda del successo, di giovani allenatori, che sanno di psciologia e biomeccanica, di tecnica e di social (in linguaggio web è “coolturtle”, riferimento muscolare?) e che siedono alla tavola dei Grandi Coach, con un venticello nuovo.
Commenta l’oro: “Mi sarei accontentato di una medaglia: la vedevo nuotare e pensavo ‘forse può succedere qualcosa’”. E’ successo. “Ai 150 metri ho pensato ‘eh, l’australiana la prendiamo, vediamo la Ledecky, che forse aveva nuotato male e strappato troppo. La parola è esagerata, ma ‘annaspavano’. Ai 175 ho pensato ‘le va a prendere?. E poi che emozioni! Troppo forti, da dire quasi ‘non alleno più’. Però sono emozioni che ti ripagano d’ogni sacrificio”.

“Rio 2016 - dice - veniva dopo un’ottima stagione, ma forse un carico di responsabilità estremo; qui siamo arrivati molto più tranquilli. Certo, dopo Rio avevo detto ‘c’è da spaccarsi il bip bip’, ma ho visto accendersi una lampadina, una spia che diceva di provarci; da un paio d’anni, dal 2015, abbiamo la fortuna di lavorare, Federica e il mio staff, con Bruna Rossi, la psicolpoga del Setterosa”. “Magari è una valvola di sfogo, è servita a tutti”. “In Sierra Nevada se sei forte di testa hai trovato il posto migliore per allenarti e per fare cose che difficilmente fai a casa: ci siamo arrivati dopo Livigno, dove siamo stati coccolati, perfino troppo”.
Ma della rinuncia ai 200 stile libero avevate già parlato prima? “Approssimativamente; ne riparleremo a freddo; certo il prossimo anno deve respirare; dopo Londra 2012 è stato un continuo; ma è lei che va in acqua ogni giorno, è lei che deve scegliere, è lei nel suo futuro, io posso solo aiutarla; perché alla fine lavori un anno e ti giochi tutto in meno di due minuti”.

I 100 metri? “Federica pensa che per farli bisogna cambiare tutto”. Ha parlato di ‘bell vita della velocista’. “Ma non è così: chiedono lavori particolari ma sempre duri. Quello che apprezzo in Federica è la sua determinazione; ho una carriera breve da allenatore, ma non ne ho mai vista tanta”. Quindi si potrebbe... “Sa andare anche contro Madre Natura; ha la particolarità di essere molto critica, soprattutto con se stessa, e questo aiuta; vuole sempre mettere la mano avanti; con il solo talento vinci una volta, non 14-15 anni”.
E’ la ragazza dell’ultima vasca: “I primi 150 li nuota facile senza forzare troppo, e lì ha ancora il serbatoio pieno; lei pensa ‘le prendo, le prendo’ e le altre ‘sta salendo, sta salendo’; è anche un gioco mentale non solo di bracciata”. Federica Pellegrini vince anche quello
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