Incubo Tamberi, addio Rio. Dopo aver perso Schwazer, l’atletica va ai Giochi ridimensionata

Domenica 17 Luglio 2016 di Gianluca Cordella
Gianmarco Tamberi

«Addio Rio, ADDIO MIA RIO!». Il dolore di Gianmarco Tamberi è tutto qui. Un messaggio amaro affidato ai social e, secondo la grammatica dei social, strillato con i caratteri tutti in maiuscolo. E con quel “mia” che dà ancora di più la dimensione di quanto la notte di Montecarlo abbia spazzato via un pezzo di vita e non soltanto un’ambizione. Il giorno dopo la notte di Diamond League è quello della verità, dolorosa quanto quella torsione del piede che ha fatto subito temere il peggio: lesione del legamento della caviglia sinistra. Settimana prossima finirà sotto i ferri ma il miracolo non ci sarà: i tempi di recupero sono di almeno quattro mesi. Addio alle Olimpiadi, dunque. Addio a quel sogno a cinque cerchi che stava assumendo una fisionomia sempre meglio definita con il passare delle settimane, dall’oro europeo al record del Principato. Trattiene a fatica le lacrime, Gimbo, al Policlinico San Matteo di Pavia. Prima di arrivarci ne aveva postato una foto, chiedendo ai follower «incrociate le dita per me». Fosse bastato quello. All’uscita dall’ospedale i toni sono diversi. «Svegliatemi da questo incubo... - scrive su Instagram - Ridatemi il mio sogno, vi prego...». 

«Tutti questi anni solo per quella gara, tutti questi sacrifici solo per quel giorno... vorrei dirlo, vorrei urlarlo che tornerò più forte di prima, ma ora davvero riesco solo a piangere!». E la mente va alla serata dell’impresa, quello stacco perfetto a 2.39 che migliora il record italiano, peraltro già suo, sia indoor che all’aperto. E poi il tentativo, inutile per la classifica, a 2.41. Il resto sono la torsione della caviglia, la caduta sul materasso, la smorfia di dolore e le mani in faccia per la disperazione. Una sequenza che porta con sé i dubbi: era necessario quel tentativo per il puro spettacolo? Inutile chiederlo se c’è di mezzo Tamberi perché una risposta negativa non esiste, tanto più in una disciplina in cui è prassi che il vincitori provi ad andare oltre il proprio limite per il solo gusto dello spettacolo, dell’adrenalina che arriva dagli applausi ritmati scanditi dal pubblico. E poi quella era stata sin dall’inizio la serata di Gianmarco, sin da quando gli organizzatori avevano offerto l’ingresso gratuito a chi si fosse presentato allo stadio con la barba rasata a metà, in perfetto stile Tamberi. «Quando ti senti bene provi a fare il record, non puoi immaginare che ti farai male. Poteva succedere a 2.20 come a 2.41 - dice Gianmarco con filosofia uscendo in stampelle dal policlinico - E poi arrivare a Rio dopo aver scavallato 2.40 mi avrebbe dato una sicurezza diversa».

La storia di Gimbo, fin qui, sa quasi di già sentito. Prima di Barcellona 1992 qualcosa di simile accadde a Jury Chechi, che ancora non era diventato il Signore degli Anelli. Lesione al tendine d’Achille a un mese dai Giochi e leggenda rimandata di quattro anni, quasi a significare che gli appuntamenti con la gloria non si annullano, al massimo slittano. Per questo Chechi ha voluto mandare un videomessaggio al giovane collega di sventura. «So che in questo momento è difficilissimo - dice Jury - ma devi sforzarti di vedere in questo momento difficile un’opportunità». Di crescita, di temperamento, di capacità di resistere alle difficoltà.

Difficoltà nelle quali, invece, si dovrà tuffare l’atletica italiana che, dopo il disastro ai mondiali 2015 di Pechino, pregustava di rialzare la testa in pompa magna, puntando su due uomini copertina fortissimi: il “mezza barba” e showman Tamberi e il redivivo Alex Schwazer, l’uomo che sconfisse il doping e si rialzò. Per un motivo o per un altro, li perderà entrambi e il cappello magico da cui estrarre il coniglio diventa così piccolo che una mano ci entra a malapena.
 

Ultimo aggiornamento: 16:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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