Maradona al San Carlo, show sul palco: «Napoli batterà la camorra»

Lunedì 16 Gennaio 2017 di Bruno Majorano e Maria Pirro
Maradona al San Carlo, show sul palco: «Napoli batterà la camorra»



L'ultimo passaggio è per Diego junior, chiamato sul palco da padre. «Voglio mio figlio accanto a me, gli chiedo scusa dopo trent'anni: Non ti lascerò mai più». Giù il sipario. 



Torna l'Orchestra dei ragazzi della Sanità, sulle note di «'O surdato 'nnammurato»: il San Carlo canta a squarciagola «oj vita, oj vita mia». Diego palleggia con il mappamondo con Siani, un gioco che rievoca «Il grande dittatore» di Chaplin. «Auguro al Napoli che vinca tutto, voglio che la gente di Napoli sia felice», dice Maradona mentre dalla platea gli urlano di non andare via. «Diego, noi ti amiamo, tu puoi tutto, ora hai anche le chiavi della città», rilancia Siani. «Tutti mi danno la chiave ma non ho l'indirizzo», sorride Maradona. E lancia un messaggio a De Laurentiis: «Al presidente chiedo di vincere, abbiamo fiducia in lui. Io non me ne voglio andare». 

Il tributo continua, con un bel ricordo della festa condivisa e l'appello dei giocatori che hanno fatto la storia del calcio azzurro. Quando compare la figurina di Ciro Ferrara, il pubblico fischia e Maradona stoppa tutto. Sul palco salgono allora i calciatori del Napoli dello scudetto e il San Carlo si trasforma ancora una volta nel San Paolo. Ognuno di loro è chiamato a ricordare il momento più bello della loro avventura con Diego: per Di Fusco la vittoria sulla Juve in Coppa uefa, per Renica «i valori trasferiti da Diego», Carnevale rivela di «avere visto la Madonna con lui», Carannante ricorda le visite mediche insieme. 



La serata continua: Lina Sastri omaggia Pino Daniele con «Napul'e», poi i ricordi dello scrittore Maurizio De Giovanni. Alessandro Siani, il re del botteghino italiano, che ha scritto e diretto lo spettacolo, è dietro le quinte, lo spettacolo è tutto per Diego. «Voleva fare un film - svela Siani - Poi ho pensato: ma si sveglierà alle 6 del mattino per parecchie settimane? Mangerà ogni giorno il cestino? Mi sono risposto no e ho concentrato tutto in uno spettacolo teatrale. Volevo raccontare il percorso di un uomo non facile». 

Da Maradona a Pino Daniele, il passo è breve. E un brivido corre lungo la schiena dei presenti quando Lina Sastri - abito nero, tacchi e spacco profondo - intona «Napul'è». Poi è la volta di Maurizio De Giovanni, «Era de maggio» è l'incipit del suo racconto.

Sul palco campeggia anche la maglietta rossa delle Cebollitas, la squadra giovanile dell'Argentinos, cento vittorie di seguito, la prima tappa della storia del calcio. «Che non è solo felicità».



Dal San Carlo a Gomorra, sul palco c'è Salvatore Esposito, alias Genny Savastano: «Ma io sono un bravo ragazzo, sono venuto con mia mamma e mio padre». Gag e battute su Gomorra, un'ipotetica squadra con i personaggi della fiction schierati in campo: don Pietro Savastano in porta, Ciro l'immortale che gioca un tempo con noi e un tempo con gli avversari. A destra Scianel col fisico di Bruscolotti e così via». 

È il momento del magistrato Catello Maresca, un altro cresciuto «sugli spalti del San Paolo». «Diego, mi hanno chiesto di farti una domanda. Io in genere le faccio in altri posti, ma è meglio qui», quasi si schermisce il pm, raccontando la storia della paranza dei bambini e invitando Maradona a dire la sua: «Ai ragazzi dico: non prendete la droga, non sparate. I ragazzi dell'Orchestra della Sanità sono l'esempio più grande, loro hanno vinto come ho vinto io. So che Napoli ce la farà lottando». 

Attimi di finta tensione per un'incursione sul palco: «Diego, posso stringerti la mano? È la mano di Dios». La platea intona «chi non salta juventino è» e quasi crolla il teatro.



L'emozione più forte è legata al ricordo del padre, che si alzava all'alba per andare a lavorare in fabbrica. «Lo ringrazio per avere sfamato tutti e sette a casa. Ci sono mancate tantissime cose, ma non c'è mai mancato l'amore. La prima volta che mi ha detto che avevo giocato bene è stato dopo Argentina-Inghilterra».

Sullo schermo vengono proiettate le immagini del gol del secolo, quello celeberrimo all'Inghilterra. Ad ogni dribbling viene associata una parola: razzismo, invidia... e dopo il gol libertà. «Ha dribblato tutti questi mali del mondo per la libertà», Diego si commuove e ammette: «Mi pacerebbe che mia mamma lo vedesse»



Non solo calcio. Con Minà, Maradona tocca i temi più svariati: «Con il Papa argentino mi sono avvicinato alla Chiesa, siamo in due adesso per rompere la testa. Mi sono avvicinato a Franceschito, lui mi ha chiamato e io sono andato, sono sempre dalla parte dei bambini che soffrono», dice ricordando anche l'impegno del Pontefice contro il dramma della droga. C'è spazio anche per un ricordi di Fidel Castro: «Sono stato 9 ore e 15 minuti a parlare con Fidel e 8 ore e 40 minuti a parlare con Chavez e non mi sono annoiato. Con Trump? Non capisco l'inglese e con lui non lo voglio capire».

Il pubblico intona: «Oh, mamma, mamma, mamma». Entra Gianni Minà, un abbraccio lungo un'eternità. «Con lui farei qualunque cosa», dice il giornalista. Con Minà Diego rievoca lo storico gol alla Juventus, quel «Tanto gli segno lo stesso» che fece infuriare Tacconi. Maradona chiama Reina: «Tu sei portiere, lo sai quanto è difficile fare gol da così vicino». 

Gli amici di Diego e i protagonisti del grande Napoli si alternano sul palco del San Carlo. C'è la prima maglia del Napoli regalata a Salvatore Carmando, storico massaggiatore azzurro che Maradona volle anche nella nazionale argentina, c'è Gigi Savoia che racconta com'era Napoli prima di Diego. Applausi, e giù fischi quando calano sul palco le sagome dei nemici Platini e di Blatter: «Non siamo dei ladri, vattene». 



È il solito, incorreggibile Diego: «Qualcuno si è lamentato perchè qui il biglietto costava 300 euro, ma l'abbiamo fatto perché Pelè organizza uno spettacolo e li vende a 200 euro. Lui deve arrivare sempre secondo», scherza Maradona. Sullo sfondo spunta anche una foto di Gesù, tra le risate del pubblico: «Messi non è neanche l'unghia del tuo piede destro». 

Il grande show comincia alle 21.20, con l'Inno alla Gioia di Beethoven, poi l'attore Peppe Lanzetta legge il suo monologo: «Il re è tornato». Dopo la proiezione dei videomessaggi di Totti e Del Piero, sul palco, salutato da un'ovazione, sale Diego Armando Maradona, in completo nero. Il San Carlo diventa San Paolo, el Pibe de oro palleggia e dice: «Mi sento come a casa, come sempre mi sono sempre sentito. Io non tradisco. A Napoli sono stato felicissimo». 



Un boato accoglie l'ingresso di Pepe Reina e José Callejon al Teatro San Carlo, nelle prime file con il sindaco Luigi de Magistris. Tra i calciatori del Napoli c'è anche Lorenzo Insigne, a pochi metri da lui il figlio di Diego. Cori da stadio accompagnano l'attesa dello spettacolo.



I tifosi in fila fuori dal San Carlo per festeggiare Diego.



Scaturchi omaggia el Pibe con un altro grande classico di Napoli


 

Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 09:04
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