Terremoto a Taiwan, perché i palazzi non sono crollati? Fiorentino (Cnr). «Hanno cambiato il modo di costruire»

Il ricercatore del Cnr: dopo il disastro del 199 i taiwanesi hanno creato delle mappe dettagliate di rischio sismico

Giovedì 4 Aprile 2024 di Paolo Travisi
Terremoto a Taiwan, perché i palazzi non sono crollati? Fiorentino (Cnr). «Hanno cambiato il modo di costruire»

Gabriele Fiorentino, ingegnere civile e ricercatore del Cnr, spiega come mai a Taiwan ci siano stati due terremoti a distanza di 25 anni l’uno dall’altro, di potenza quasi simile, ma con conseguenze molto diverse: «Nel 1999 ci furono 25.000 costruzioni distrutte, 40.000 con danni gravi, quasi 11.000 feriti e 200.000 sfollati, numeri enormi rispetto a quanto accaduto ieri, seppure ad un livello di energia compatibile con quella di 25 anni fa.

Sembra, ad una prima analisi, che il numero di crolli sia minore, anche se poi saranno i tecnici in loco a stabilire l’entità dei danni».

Secondo lei, da tecnico, come mai questi edifici hanno retto le onde sismiche?

«Taiwan è un paese soggetto a frequenti e potenti terremoti, per cui dopo il 1999, con le normative successive, i nuovi edifici dovrebbero essere stati costruiti tenendo in considerazione due fattori. Il primo è legato all’azione sismica che può esserci in un determinato sito, quella che si chiama pericolosità sismica, cioè i tecnici hanno realizzato delle mappe di pericolosità sismica molto dettagliate, arrivando a livello locale fino ai singoli villaggi, delle vere e proprie microzone, in particolare nel bacino di Taipei, la capitale, chiaramente l’area più importante. Nel dettaglio, si stima l’intensità sismica in un sito con una certa probabilità di accadimento in base ai terremoti passati, elaborando uno studio di pericolosità, perché come è noto i terremoti non si possono prevedere».

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Ed il secondo immagino riguardi il metodo costruttivo?

«Esattamente, che è poi quello che è avvenuto anche in Italia, dopo il sisma dell’Aquila del 2009, ma tornando a Taiwan hanno implementato una tecnica che si chiama capacity design, e che in italiano traduciamo come gerarchia della resistenza».

Cosa significa?

«Le strutture in cemento armato, che costituiscono la maggioranza dei nuovi edifici, sono costituite da telai composti da travi e pilastri. Questi ultimi, gli elementi verticali, portano il peso di tutto l’edificio. Se i pilastri collassano, la struttura viene giù, ma le più recenti norme sismiche fanno in modo che i pilastri si rompano per ultimi, mentre il danno si distribuisce sugli altri elementi strutturali, evitando che l’edificio collassi. L’accorgimento costruttivo che avrebbe permesso a molti edifici di non crollare è il fatto che gli elementi verticali sono stati gli ultimi a danneggiarsi».

 

Quindi le forze generate del terremoto, si sono distribuite non solo sui pilastri?

«Esatto. L’energia del terremoto si è dissipata localmente in modo distribuito sulla struttura, senza colpire con tutta la sua potenza solo i pilastri. Diversamente si vedono alcuni edifici inclinati a 45°, che hanno avuto un collasso localizzato, probabilmente perché i pilastri erano troppo deboli o mal progettati, se invece l’energia si fosse distribuita meglio lungo il palazzo, magari ci sarebbero stati dei danni diffusi su tutto l’edificio, che comunque non sarebbe crollato».

La ricostruzione seguita al post-sisma in Italia, ovviamente, è adeguata alla normativa europea, quindi garantisce maggiore sicurezza ai nuovi edifici?

«La comunità ingegneristica in Italia sta cercando di fare ogni sforzo per sensibilizzare sul tema della prevenzione e sull’adeguamento sismico delle strutture esistenti, che nel nostro paese è il problema maggiore, ma certamente le norme tecniche seguono l’Eurocodice 8, la normativa europea di riferimento, il cui obiettivo è costruire strutture che in caso di terremoti gravi, non collassino e garantiscano la salvaguardia della vita, mentre invece nel caso di sisma più lievi subiscano pochi danni fisici».

Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 10:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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