Euro 2016: Derby Ibrahimovic: «Amo l'Italia, ma non tornerò»

Martedì 14 Giugno 2016 di Redazione Sport
Zlatan Ibrahimovic
Il vento che soffia forte a Pornichet, quartier generale della Svezia sulla costa dell'Atlantico, spazza via i dubbi e i timori che, contro l'Irlanda, sono affiorati in più d'una occasione. Zlatan Ibrahimovic scruta l'orizzonte pensieroso e immagina il futuro a breve e media scadenza. A 34 anni non è possibile fare progetti a lungo termine, anche se - riciclando una frase che ama - non si sa mai.

L'Italia bussa alle porte, dopo avere demolito il colosso d'argilla belga ed essersi candidata nel Gruppo E a uno dei due (o tre, dipende) posti per gli ottavi, c'è poco tempo per pensare: bisogna convincere e segnare. Gli azzurri erano brutti e sfavoriti, dovevano finire a pezzetti fra le grinfie dei fuoriclasse del Belgio, invece sono riusciti - impresa centrata solo dalla Germania, almeno finora - a vincere con due gol di scarto. Ibra non è apparso preoccupato, anzi ha rilanciato, dichiarando dopo l'1-1 con l'Irlanda che «era importante non perdere all'esordio», e che il pareggio gli «sta bene».

«Secondo me - azzarda lo svedese, al quale piacciono le grandi sfide - possiamo pure batterla l'Italia. Per farlo, però, dobbiamo sicuramente migliorare». In effetti, la Svezia vista all'opera nello Stade de France, a Parigi non è sembrata una squadra qualitativamente eccelsa. Anzi. Lo stesso Ibra non è riuscito, come in altre circostanze, a fare la differenza, se non in occasione dell'autorete del 'verdì, propiziata da un suo cross vicino alla linea di fondo. Nei giorni scorsi, l'attaccante del PSG lo aveva detto: «Io lavoro per i miei compagni e loro giocano per me, devo avere pazienza ed essere meno esigente».

Intanto, Ibra resta sospeso fra le ambizioni europee e le voci di mercato, che un giorno lo spingono verso Manchester, sponda United, dove sta per cominciare l'era Mourinho, in altre lo dirottano verso l'Italia. Ancora una volta. L'attaccante, che in Serie A ha indossato con fortuna le maglie di Juve, Inter e Milan, prima di trasferirsi nella Ligue 1, è stato intervistato da Walter Veltroni per GQ. Ibra si è confessato, spiegando che la vita gli ha insegnato «a non accettare mai la sconfitta», perché ha «la missione di vincere». A proposito di futuro, non mancano le contraddizioni fra desideri, ambizioni e nostalgia. «Tornare in Serie A? Non si sa mai. Anche se, c'è da dire che non si torna mai dove si è fatta la storia. L'Italia è la mia seconda casa, perché ha una passione infinita, calda, totale, che assomiglia al mio modo d'intendere lo sport. Forse anche la vita». Ibra rivela, inoltre, di non avere mai avuto particolari problemi con gli allenatori, «a parte Guardiola».

«Con gli altri ho discusso, anche litigato, ma sono rimasto amico con tutti.
Con uno in particolare: Fabio Capello. Una volta ebbi un litigio con Zebina - racconta lo svedese -. Io lo colpii. Mi aspettavo un rimprovero. Invece, Capello se ne rimase in silenzio e poi disse che quel gesto aveva fatto bene alla squadra. Voleva sempre il massimo di tensione e di adrenalina: era perfetto per me». Non solo calcio, nell'intervista, Ibra parla anche di razzismo («In Italia mi venivano gridate le solite cose orrende che vengono rivolte a chi viene considerato altro da sé») e di terrorismo («Non ero a Parigi la sera del Bataclan, penso che chi fa quelle cose ha il vuoto nella testa»), poi torna a scrutare l'orizzonte dell'oceano Atlantico: chissà se pensa all'Italia come avversaria e come «seconda casa».
Ultimo aggiornamento: 15 Giugno, 00:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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