In Medio Oriente, spesso, il tempo è una dimensione indefinita, da piegare o dilatare a seconda delle convenienze. Per Hamas è un’arma di pressione per spuntare condizioni ancora migliori di quelle «straordinariamente generose» - così le ha definite il segretario di Stato Usa Antony Blinken in missione in Giordania- per un cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi e prigionieri palestinesi.
L’OPERAZIONE
E allora arriva la dichiarazione del presidente israeliano Benjamin Netanyahu che si trascina dietro una ventata di gelo: «L’evacuazione dei civili da Rafah è iniziata, noi entreremo ed elimineremo Hamas con o senza un accordo». «L’idea di fermare la guerra senza smantellare i battaglioni ancora presenti è impensabile». Parole destinate a molte orecchie. Ai parenti degli ostaggi e dei militari - o meglio: alle due organizzazioni di destra che li raggruppano - davanti ai quali pronuncia il suo discorso, e a cui promette che la guerra non potrà finire senza il ritorno a casa dei loro congiunti (anche se il grosso dei familiari è fermamente contrario all’azione in questo momento). E sono anche parole che dovrebbero in qualche modo placare la rabbia dei due esponenti della destra messianica e ultranazionalista che minacciano di uscire dal governo se si fermerà l’operazione a Rafah. Ma Netanyahu in questo modo pensa soprattutto di aumentare la pressione su Hamas che in tutta questa vicenda, forte degli ostaggi che detiene, continua a imporre le proprie condizioni.
I NEGOZIATI
Da quello che filtra sui giornali arabi Hamas vuole altre concessioni sul ritiro dei militari israeliani dal corridoio di Netzarim che taglia in due la Striscia, sul numero e l’identità dei detenuti palestinesi che lasceranno le prigioni. Secondo il Wall Street Journal invece l’ipotesi sul tavolo si articolerebbe in due fasi. La prima con il ritorno a casa di 20 ostaggi in tre settimane, la seconda prevedrebbe un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali il numero dei sequestrati rilasciati sarebbe maggiore e la tregua potrebbe durare mesi. Numeri che però non si allineano con le ipotesi fin qui circolate secondo cui i civili che potrebbero essere rilasciati sarebbero 33, gli unici sopravvissuti a sei mesi di prigionia durissima. Hamas vorrebbe poi che tra i garanti dell’accordo figurasse anche la Turchia insieme all’Egitto, Qatar, Usa e Russia, condizione respinta da Israele che avrebbe espresso invece la disponibilità al ritorno nel Nord della Striscia non solo per donne, anziani e bambini, come inizialmente deciso. Su tutte queste incertezze incombe anche lo spettro di un mandato di cattura della Corte penale internazionale per Netanyahu, per il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi per crimini contro l’umanità che potrebbe far saltare ogni accordo. Almeno questo è il timore degli Stati Uniti e di molti suoi alleati. «Se dovesse accadere - tuona Netanyahu - sarebbe una macchia indelebile per tutta l’umanità, un crimine di odio che aggiungerebbe benzina all’antisemitismo».