Padova. Andrea Salvetti: «Il Festivalbar più che un evento per me è stato un fratello maggiore»

Mercoledì 8 Maggio 2024 di Paolo Braghetto
Andrea Salvetti (al centro) sul palco con Fiorello e Alessia Marcuzzi

PADOVA - Scrivi Salvetti e leggi Festivalbar. Andrea, padovano classe 1967, è figlio di Vittorio e assieme sono stati colonne portanti dell’evento itinerante che all’apice del successo fece tappa anche in Prato della Valle il 29 maggio 1999 e il 2 giugno 2001.

Andrea ha respirato musica fin da bambino e dell’espressione artistica ha fatto la sua ragione di vita.


Cosa ha rappresentato per lei Festivalbar?
«Il Festivalbar è nato nel 1964: è più anziano di me ed è stato presente nella mia vita fin dalla più tenera età, quindi lo considero una specie di fratello maggiore. Ricordo sempre con un sorriso la prima volta che ho visto mio padre in televisione, mi sono avvicinato all'apparecchio che a lato aveva delle fessure per raffreddarsi e cercavo di capire come ci fosse entrato e soprattutto da dove sarebbe uscito. Poi girando con lui ho conosciuto anche l’Italia profonda dei paesini e delle piazze, da Nord a Sud. Se oggi ho una visione della famiglia come una cosa unica e indivisibile dove la forza sta nel cuore lo devo anche a quell’esperienza unica che ho vissuto fin da piccolo che è il Festivalbar».


Sotto la sua direzione sono nati tanti personaggi dello spettacolo: c’è qualcuno a cui è più affezionato?
«Con i presentatori si è creato un rapporto speciale, in particolare con Fiorello, Alessia Marcuzzi e Amadeus, i primi presentatori con i quali mi confrontavo dopo la morte di mio padre e maestro di vita. Vennero al suo funerale e fin da subito furono molto generosi professionalmente e umanamente, si vedeva che si sentivano perfettamente a casa da noi. Infatti in tutte le produzioni che fanno ancora oggi nominano il Festivalbar e qualche volta mi scrivono per tornare a farlo insieme». 


E gli artisti in gara?
«Si sono create belle amicizie anche con i cantanti, più di settanta all’anno tra singoli e gruppi, moltiplicati per 45 edizioni, oltre a uno staff di quattrocento tecnici ogni anno. Ricordo con affetto Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Jovanotti, Vasco, Ligabue, Zucchero, Renato Zero e tra quelli internazionali Bon Jovi, Sting, Robbie Williams, Santana. Hanno iniziato la loro carriera sui nostri palchi anche Giuliano Sangiorgi, Cesare Cremonini, Tiziano Ferro e tanti altri».


Oggi ci sarebbe ancora spazio per una manifestazione del genere?
«L’attesa per un ritorno del Festivalbar è forte. Quello che è cambiato è il livello generale di qualità della musica: i talent show hanno puntato su ragazzi spesso alle prime armi cercando di trasformarli in professionisti, però l’operazione non sempre riesce. Ogni anno vengono immessi nel mercato decine di prodotti di una qualità non altissima che in passato speravano di partecipare al nostro festival. Poi sono arrivati Instagram e Tik Tok, il reggaeton, l’autotune e testi non sempre raffinatissimi. Bisognerebbe tornare agli artisti scelti da veri talent scout, accompagnati da professionisti del settore a sondare strade nuove senza seguire le mode».


E se arrivasse una chiamata per Sanremo?
«Negli anni ne sono arrivate varie, ma ho sempre pensato che il Festivalbar e Sanremo fossero due eventi di stampo opposto, con artisti che erano adatti o all’una o all’altra, raramente ad entrambi. Si esprimono due energie completamente diverse e per questo non sono mai riuscito a immaginarmi come organizzatore del Festival di Sanremo».


Come è stata la sua infanzia?
«Splendida: Padova è speciale sotto molti punti di vista. Ricordo la libertà di giocare a calcio nei vicoli intorno a casa al Bassanello, il fine settimana con famiglia e amici in qualche ristorantino sui Colli, in particolare alla trattoria Da Zavattiero dove mangiavo il risotto con i fegatini e poi le prime costesine e la polenta, un amore mai finito. Poi siamo venuti ad abitare in centro e ho amato le piazze, sono cresciuto a pane e folpetti».


Le hanno mai proposto di candidarsi in politica?
«Si, ma non mi sono mai sentito molto attratto, per sua natura è spesso legata a un luogo e a schemi specifici, mentre io amo molto viaggiare anche per lunghi periodi e conoscere culture diverse».


Ha degli hobby?
«Sono appassionato di fotografia e video; fin da piccolo ho realizzato in giro per il mondo documentari archeologici ed etnografici. Però oggi prediligo la meditazione e i libri di carattere spirituale».


La sua nuova creatura ora è il Festival della consapevolezza: come è nato il progetto? 
«Durante la pandemia con i miei soci, Miride Bollesan con cui collaboro da sempre e Christian Gandini, sentivamo che l’umanità si stava polarizzando creando divisioni tra gruppi che si allontanavano tra loro. Abbiamo pensato quindi di fare un evento in cui invitare personalità prese dai vari campi del sapere, dell’arte, della scienza, della spiritualità per capire come avevano superato le loro divisioni interiori. La prossima edizione, la terza, si svolgerà a settembre durante l’equinozio d’autunno a Palazzo della Ragione, Teatro Verdi e altre location iconiche: ci saranno seminari con relatori di alto livello, workshop di pratiche meditative ed energetiche legate all’elevazione della coscienza».

Ultimo aggiornamento: 17:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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