Elezioni Regionali, mossa di Salvini: «Candidiamo gli uscenti». No al riequilibrio chiesto da FdI

Il leghista: no al riequilibrio chiesto da FdI. Anche Bardi (FI) a rischio riconferma. La tentazione di Solinas: dimettersi prima per correre ancora in Sardegna

Venerdì 8 Dicembre 2023 di Andrea Bulleri
Elezioni Regionali, mossa di Salvini: «Candidiamo gli uscenti». E i dem puntano sui civici

 «Governiamo insieme 15 Regioni, l’accordo lo troveremo anche stavolta». I big del centrodestra ostentano ottimismo: la matassa delle Regionali 2024 (cinque Regioni al voto, tutte con giunte uscenti di centrodestra) verrà sbrogliata a tempo debito.

Eppure, a meno di 90 giorni dal primo test con le urne (quello in Sardegna, a fine febbraio o inizio marzo), un quadro definito dei candidati ancora non c’è. Anzi: l’impressione, per dirla con le parole di chi nelle file della maggioranza segue il dossier, è che per sbloccare lo stallo «Meloni, Salvini e Tajani si dovranno chiudere in una stanza, e qualcuno dovrà rinunciare a qualcosa». 


Ecco perché non sembra casuale la mossa del leader leghista: «Nessuna riunione e nessun accordo con Giorgia e Antonio per cambiare gli uscenti», scandisce Salvini. «Alle prossime regionali, la Lega sostiene che il centrodestra unito debba sostenere gli attuali governatori». Insomma: le previsioni secondo cui per qualche presidente in carica la corsa al secondo mandato potrebbe saltare - a cominciare dal cagliaritano Christian Solinas, del Partito sardo d’azione e vicinissimo al Carroccio - per Salvini sono «totalmente prive di fondamento». Tanto che perfino le liste dei candidati ai consigli regionali sarebbero «chiuse al 90 per cento, e sono competitive». 
IL CONTROPIEDE
Eppure i dubbi rimangono. Perché i colonnelli del partito di Giorgia Meloni non hanno cambiato idea: «FdI è largamente il partito della coalizione, eppure esprime solo tre governatori», la lamentele. Urge un «riequilibrio», dunque. Magari a partire proprio dalla Sardegna, con l’attuale sindaco di Cagliari Paolo Truzzu (meloniano) descritto come a un passo dall’investitura ufficiale sotto le insegne del centrodestra. Al punto che lo stesso Solinas, fiutata l’aria, proprio in queste ore sarebbe tentato dal contropiede: dimettersi un paio di mesi prima della scadenza naturale del mandato. E accelerare così i tempi delle urne, che in questo caso potrebbero essere convocate alla prima data utile, il 28 gennaio. Rendendo più difficile, se non impossibile per il centrodestra (a meno di forti scossoni), pensare di sostituirlo in quattro e quattr’otto. Per ora quella di Solinas sarebbe poco più che una suggestione. Un’idea che però rischierebbe di aprire una nuova faglia tra il partito di Salvini e quello di Meloni dopo la difficile trattativa su chi dovesse fare il vice del leghista Fugatti in Trentino. 
Più solida sembra la ricandidatura per il forzista Alberto Cirio in Piemonte, al voto con ogni probabilità il 9 giugno insieme alle Europee. Così come non si dovrebbe discutere il bis per la leghista Donatella Tesei in Umbria, alle urne non prima di ottobre. E se Marco Marsilio in Abruzzo può dirsi blindato (l’attuale presidente è un esponente della prima ora di FdI), a scricchiolare è il nome di Vito Bardi, alla guida della Basilicata sotto le insegne di FI. Lo stato maggiore azzurro, forte dei sondaggi, punta alla riconferma. Gli alleati meloniani, invece, fanno notare come i numeri ottimisti a Potenza e dintorni dipendano in larga parte da loro. E insistono: «Lo schema dev’essere 3-1-1: tre Regioni a FdI, una al Carroccio e l’altra ai forzisti». 
CONFUSIONE
Ma se nel centrodestra la matassa resta da sbrogliare, anche nell’altra metà del campo grande è la confusione sotto il cielo. Riposte in soffitta le primarie, il Pd di Elly Schlein per ora punta sui candidati civici. In Abruzzo con l’ex rettore dell’Università di Teramo Luciano D’Amico, in Basilicata col presidente di una coop che si occupa di accoglienza, Angelo Chiorazzo (in quest’ultimo caso non senza tensioni locali). In Sardegna, dove la candidatura di “campo largo” dem-M5S toccava ai grillini, a correre sarà l’ex viceministra pentastellata Alessandra Todde, per ora avanti nei sondaggi. Che però dovrà vedersela con la concorrenza interna di Renato Soru, sostenuto anche da Italia viva (oggi al governo con Solinas). «Le primarie? Una questione pretestuosa», replica Todde: «La mia candidatura l’hanno decisa i partiti sardi, non è calata dall’alto. Con Soru – aggiunge – si può ricucire in nome dell’unità». Buio pesto in Umbria, nebbia in Piemonte. Sotto la Mole l’accordo Pd-pentastellati sembrava a portata di mano, finché non si è messa di traverso l’ex sindaca grillina di Torino Chiara Appendino, contraria alla corsa del dem Daniele Valle. L’altra aspirante governatrice di casa Pd è la vicepresidente nazionale Chiara Gribaudo, cuneese e schleiniana. Che coi 5S avrebbe qualche chance di ricucire. Il rebus sembrava dovesse essere sciolto con le primarie, finché dal Nazareno non è arrivato l’altolà: congelare tutto. Si deciderà (ancora una volta) da Roma.
Andrea Bulleri
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Ultimo aggiornamento: 9 Dicembre, 10:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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