Se i cambiamenti climatici condizionano anche gli atleti

Lunedì 30 Settembre 2019 di Piero Mei
Se i cambiamenti climatici condizionano anche gli atleti
«Ci prendono per scemi, gareggiamo in condizioni assurde, questa non è atletica» ha detto Yohann Diniz, quarantunenne marciatore francese, campione del mondo uscente ed effettivamente uscito nella massacrante gara dei 50 chilometri, ieri notte a Doha. Uscito per ritiro: 14 concorrenti hanno fatto la sua fine, il cinquanta per cento dei 28 che sono arrivati fino in fondo, più del 30 per cento del totale. Le donne si sono rivelate più resistenti: delle 24 partite non hanno ultimato la competizione in sei, “appena” il 25 per cento. Era andata peggio il giorno (anzi la notte) prima nella corsa della maratona, 42,195 chilometri: 40 arrivate, 28 ritirate.
E’ il sintomo dello sport della fatica al tempo dei cambiamenti climatici contro i quali si stanno schierando i ragazzi dei venerdì di tutto il mondo e di tutte le piazze?

Lo sport viaggia sempre più verso l’estremo degli spettacolari X-sports, cose come le gare di Ironman o i tuffi da vertiginose altezze, ma i mutamenti climatici potrebbero rendere estreme anche gare fin qui considerate di fatica sì, ma possibili. Sono le località prescelte a favore di sponsor a fare la differenza. Certo c’è da guardare con una discreta dose di apprensione ai prossimi mondiali di calcio, che si svolgeranno nel 2022 in Qatar, dove è Doha. Già la collocazione insolita nel calendario (i mondiali sono programmati d’inverno) stravolgerà il palinsesto dei campionati nazionali di tutto il mondo obbligandoli a una lunga sosta in quel periodo. Poi, come stanno mostrando le gare dei mondiali di atletica in corso, il clima potrà dire la sua e non basterà a nasconderne gli effetti un’organizzazione (bellissima e spettacolare, per carità) che ricorda più le luci e lo scenario di un concerto da rockstar che non una competizione fra campioni o presunti tali. Le condizioni meteo delle gare “all’aperto” parlano, a Doha, di una temperatura di 30 gradi e di una umidità del 75 per cento.

Per combatterle si possono seguire due strade: accorciare la fatica (già la lunga marcia a Tokyo 2020 sarà quasi dimezzata ai 30 chilometri e qualche maratona sta trasformandosi in “mezza maratona” ) oppure trasformare lo sport in puro spettacolo indoor. E’ quel che sostenevano, già tre anni fa, in occasione dei Giochi di Rio, gli studiosi di Berkeley, l’università californiana che è tra le più accreditate e conosciute del mondo, se non altro per essere stata la culla del Sessantotto. La ricerca fu pubblicata prima ancora che Greta lanciasse la sua campagna e rappresentò quali Olimpiadi e dove avrebbero atteso, continuando i cambiamenti climatici allo stesso ritmo, i ragazzi che oggi manifestano. Di qui a più di mezzo secolo. La previsione è datata per gli anni Ottanta di questo secolo, alla vigilia del bicentenario olimpico. Tutta colpa del global warming, il riscaldamento globale. Condizionerà il programma sportivo, costringendo alla riduzione della fatica se non addirittura alla cancellazione di certe gare; obbligherà gli organizzatori a proporre il palinsesti dentro stadi coperti e oggetto di condizionamento d’aria gigantesco, la cui realizzazione potrebbe significare, stando così le cose, ulteriore inquinamento e riscaldamento.

Quanto alle sedi possibili dei Giochi, almeno nell’emisfero settentrionale, le città “candidabili” sarebbero pochissime. Nell’America del Nord, per le Olimpiadi estive, soltanto tre: San Francisco, Calgary e Vancouver: queste ultime due, in Canada, sono state già sedi, tra il Novecento e il Duemila, di Olimpiadi sì, ma invernali. Il riscaldamento revocherebbe la differenza. Rimarrebbero papabili, fra le città più conosciute e che già si sono avvicinate ai Giochi, San Pietroburgo, oppure Riga in Lettonia, Biskerk in Kirghishistan o Ulan Bator in Mongolia. Molte delle 543 città studiate sarebbero escluse dai giochi: perfino Tokyo, sede dei prossimi, perfino Roma che dunque dovrà mettersi fretta se volesse finalmente cogliere l’occasione che non colse. L’Africa, se non riuscirà ad averle di qui a sessant’anni, dovrebbe definitivamente rinunciare. Come accadrebbe per l’America Latina. «Ero venuto a marciare a un mondiale e non mi aspettavo una gara di sopravvivenza» ha detto ancora Yohann Diniz. Marciano i ragazzi del mondo anche in difesa delle Olimpiadi come le conosciamo.
 
Ultimo aggiornamento: 09:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA