Gaetano Anzalone, il presidente della Roma degli anni Settanta, ha chiuso gli occhi per sempre, nella notte, a 87 anni. Il costruttore romano, il 13 giugno del 1971, subentrò ad Alvaro Marchini e la sua figura fu subito riconoscibile. Anche a bordo campo, al Flaminio o al Tre Fontane, durante gli allenamenti della squadra. Questione di stile. Elegante, educato e sicuramente gentiluomo. E tifoso vero. Lo ricordiamo piangere, attaccato alla rete di recinzione dello stadio di Arezzo, dopo il ko, con il Mago Helenio Herrera in panchina, in campo neutro contro il Verona, rigore trasformato da Mascetti che poi in futuro diventò ds nell'era Viola. L'Olimpico squalificato dopo il celebre Roma-Inter di Michelotti (17dicembre del '72), rischiava di restare a lungo senza calcio. Chiedeva, disperato, alla sua gente, di non invadere di nuovo il terreno di gioco. Mai una parola fuori posto, almeno in pubblico. Perché in privato, e anche nello spogliatoio, ha perso come tutti i suoi colleghi la pazienza per le prestazioni indecenti. E nella sua gestione è successo spesso, perché di risultati, dal 1971 al 1979, il club giallorosso ne ha raccolti pochi. Metà classifica, a volte anche peggio.
ECCO IL BARONE
Il torneo anglo italiano del '72 è l'unico trionfo, tra l'altro l'ultimo internazionale conquistato dalla Roma. In campionato, invece, riuscì a salire fino al 3° posto (1974-75), nella stagione successiva al 1° scudetto della Lazio di Maestrelli. Guarda caso con Liedholm in panchina. Anzalone fu il primo a portare Nils in giallorosso che incantò con la zona, con il doppio regista, Cordova e De Sisti, e con il centravanti Prati, campione scaricato dal Milan. E' anche il periodo in cui il vivaio giallorosso decolla: Rocca, Di Bartolomei e Bruno Conti. Come tecnici ha avuto anche Scopigno e Giagnoni.
SVOLTA AUTENTICA
La Roma avrà pure dato poche soddisfazioni ad Anzalone.
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