Secondo Roberto Burioni «siamo vicini a sconfiggere il cancro».
Il merito di questa spinta decisiva si deve innanzitutto ai grandi sforzi di ricerca, ma anche a quella che Burioni chiama «una convergenza di saperi che collaborano», ovvero l’intreccio tra biologia molecolare, diagnostica e pure l’intelligenza artificiale. Nel suo nuovo libro, il virologo racconta anche la curiosa storia di come è nata la chemioterapia, nel porto di Bari ai tempi della Seconda guerra mondiale. «L’aviazione tedesca bombarda una nave americana, che esplode con il suo carico letale: bombe all’iprite, un gas che, si scoprì dopo, uccideva alcune cellule in maniera relativamente selettiva. Il principio, appunto, della chemio», spiega il professore. E per quanto riguarda in modo in cui si racconta la malattia, Burioni si schiera apertamente contro la metafora del «lottatore», spesso accostata a chi sta curando un cancro. «Chi viene colpito dalla malattia ha a disposizione solo le armi fornitegli dalla ricerca medica – precisa -. Senza quelle non si potrebbe lottare, quindi non dipende da chi si ammala».