Finanziamenti ai partiti, la proposta del Pd (che piace a FI): «Tornare ai fondi pubblici e raddoppiare il 2 per mille»

I punti: dimezzare la quota di finanziamento privato, da 100 a 50mila euro per "obolo" massimo, aumentando al contempo la trasparenza delle donazioni

Giovedì 9 Maggio 2024 di Andrea Bulleri
Finanziamenti ai partiti, la proposta del Pd (che piace a FI): «Tornare ai fondi pubblici e raddoppiare il 2 per mille»

Pochi, maledetti e subito. Per i partiti in perenne campagna elettorale, è la prima preoccupazione che i tesorieri con le casse costantemente in rosso si devono affrontare: trovare i soldi. Già, perché si tratti di Europee, politiche o amministrative, tra staff da retribuire, spin doctor da ingaggiare e scenografie pirotecniche da allestire, se si vuol fare incetta di eletti di fondi ne servono parecchi. Per dire: una corsa a Bruxelles, per ogni aspirante eurodeputato, costa fino a 200mila euro, tra "santini" elettorali e tour de force in circoscrizioni sterminate. E così, se i partiti rimborsano solo le spese ai big, a tutti gli altri tocca arrangiarsi. Magari rivolgendosi a canali di finanziamento privati, non sempre trasparenti.
Ecco perché, mentre le inchieste della magistratura si affastellano, la politica prova a sfatare un tabù: tornare al finanziamento pubblico dei partiti. Spazzato via dal referendum del 1993, proseguito di fatto sotto forma di rimborsi fino al 2013, poi sostituito dal meccanismo del 2 per mille e delle «erogazioni liberali»: gli assegni staccati da privati che non possono eccedere i 100mila euro per ogni benefattore. È così che, nel 2023, i partiti italiani presenti in parlamento hanno incassato 97,1 milioni di euro. Venticinque dalle dichiarazioni dei redditi di chi ha indicato una forza politica nel proprio 730, 53 sotto forma di rimborsi ai gruppi di Camera e Senato (soldi che servono a pagare sedi, uffici studi e collaboratori), il resto da contributi in parte deducibili dalle tasse di aziende, società o singoli cittadini.

LA PROPOSTA

Tanto? Poco? «Meno che negli altri Paesi europei», rispondono i diretti interessati. Che ora puntano a riaprire la discussione, denunciando i paradossi del meccanismo. «Con l'8 per mille, la Tavola valdese riceve da sola più fondi di tutti i partiti italiani messi insieme. L'istituto buddhista Soka Gakkai quasi lo stesso importo», fa notare un parlamentare. «Con tutto il rispetto per queste importanti istituzioni religiose, anche la democrazia dovrebbe meritare qualcosa di più». Una proposta, su cui la discussione è già avviata in commissione affari costituzionali, l'ha formulata il senatore Pd Andrea Giorgis, professore di diritto costituzionale all'Università di Torino, ed è sottoscritta da parecchi esponenti di tutte le correnti dem. E il testo non dispiace a Forza Italia (che però non si sbilancia, considerata la scarsa popolarità del tema) né alla Lega. I punti: dimezzare la quota di finanziamento privato, da 100 a 50mila euro per "obolo" massimo, aumentando al contempo la trasparenza delle donazioni. Ed elevare il plafond di soldi pubblici da destinare al 2 per mille, alzando il tetto dagli attuali 25 a 45,1 milioni. Per farlo, si prevede di distribuire ai partiti anche il cosiddetto «inoptato», cioè la quota dell'Irpef di chi non indica alcuna forza politica, proprio come avviene con l'8 per mille alle confessioni religiose. In questo modo, spiega Giorgis, il meccanismo diventerebbe più «democratico», perché l'importo dei contributi alle singole forze non sarebbe più, come avviene adesso, condizionato da quanto sono elevate le dichiarazioni dei redditi di chi esprime una preferenza per il 2 per mille, ma solo dal numero di preferenze per ogni partito.
Tecnicismi a parte, Giorgis e il grosso dei dem (che pure votarono la legge voluta da Enrico Letta per cancellare il finanziamento pubblico) ne sono convinti: «Investire nella democrazia vuol dire investire nella crescita del Paese. Ed è necessario aggiunge Giorgis per separare il potere politico dai possibili condizionamenti del potere economico».

LE CONVERGENZE

Il relatore del testo, il meloniano Andrea De Priamo, si mostra più scettico: «Fratelli d'Italia ha i conti in ordine.
Per noi la politica deve contare sul sostegno dei cittadini». Ma nonostante il dibattito venga visto come a forte rischio autogol in quanto a consensi, da via della Scrofa più d'uno fa capire che una discussione si può intavolare. Almeno sul capitolo dell'«inoptato»: «Se esiste per l'8 per mille, perché non replicarlo anche per i partiti?», ragionano i colonnelli di FdI. Forti pure del passo avanti di Giovanni Donzelli, secondo cui cancellare il finanziamento pubblico è stato un errore. Anche se, si affretta a precisare il dominus dell'organizzazione meloniana, il tema «non è all'ordine del giorno». E se Forza Italia si mostra aperturista («in principio non sono contrario», aveva messo a verbale Antonio Tajani) anche Carlo Calenda non disdegna convergenze. A patto, precisa, che «se torniamo al finanziamento pubblico ci sia il divieto di quello privato». Sulla carta, insomma, tutti (o quasi) d'accordo, con l'eccezione del M5S (anche se il capogruppo in Senato, Stefano Patuanelli, si era detto a favore, prima di essere rimbrottato da Conte). Si farà? Forse. Di certo, non prima delle Europee: l'accusa alla "casta", è il timore di molti, è dietro l'angolo.

Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 14:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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