Guerra Israele-Hamas, un padovano in salvo: «Una nuova Shoah, sentivo dal rifugio gli spari e le urla»

Uzi Fazio è nato da padre padovano e vive a pochi chilometri da Kfar Aza

Giovedì 12 Ottobre 2023 di Redazione
Nir Forti con Shai Regev, Uzi Fazio

PADOVA - Uzi Fazio nella terribile notte di Kfar Aza era nel kibbutz con la moglie. «Ci hanno fatto una nuova Shoah», dice l'italo-israeliano, molto legato al Veneto: è nato in Israele da padre padovano (ma la famiglia ha radici veneziane) e madre genovese. Ma ora il 68enne è al sicuro, mentre un terzo cittadino italo-israeliano risulta disperso dopo l'attacco scatenato da Hamas. Si tratta di Nir Forti, un giovane che insieme alla fidanzata Shai Regev si trovava al rave al confine di Gaza, quando i terroristi hanno fatto un massacro, portando via ostaggi.

Il disperso

È stato il ministro Antonio Tajani, dal Cairo, ad annunciare la scomparsa del giovane, dopo che la sua famiglia si è messa in contatto con la Farnesina.

Poche le informazioni sulla sua sorte, come di quelle di tanti altri suoi coetanei che erano andati a quel festival, per celebrare la Natura nella festa ebraica del Sukkot. «Per favore continuate a diffondere la voce», è l'appello della sorella Tamar Forti, condiviso sui social insieme alle altre sorelle Michal e Efrat.

L'incubo nel kibbutz

Nel frattempo Fazio racconta all'Ansa quello si cui è stato testimone, ora che si trova al sicuro, con gli altri sopravvissuti al massacro, a Shefayim, un altro kibbutz nel centro di Israele, dove l'ha portato l'esercito dopo averlo salvato da Kfar Aza. «Stiamo ancora piangendo uno sulle spalle dell'altro. Ci consoliamo a vicenda, tentiamo di non pensarci. Ma il mondo deve sapere quanto è avvenuto nel nostro kibbutz. Ecco perché parlo. Tutto è cominciato tra le 5 e le 6 di sabato mattina con i razzi che arrivavano da Gaza. Dopo i razzi sono arrivati i terroristi e sono passati attraverso la barriera difensiva che credevamo invalicabile. Kfar Aza dista meno di due chilometri dal confine con la Striscia. Sono arrivati a piedi e dietro loro c'erano anche cittadini di Gaza che volevano arraffare e rubare nel kibbutz, non solo il nostro ma anche in tanti altri. Solo dopo abbiamo saputo che i miliziani erano 70-80, armati fino ai denti con fucili mitragliatori, fucili e anche lanciagranate. Sono entrati superando ogni resistenza e sparando ovunque. Passavano casa per casa buttando le bombe sulle case più vicine e credo che abbiano ucciso subito una ventina di ragazzi».

Lì è cominciato l'incubo. «Ci siamo subito chiusi nel rifugio io e mia moglie Jenny. Abbiamo cominciato a chattare su Whatsapp con le famiglie vicine, chiuse anche loro nei rifugi. Poi abbiamo chiamato i nostri figli: uno è negli Usa, l'altra qui in Israele in un altro kibbutz dove pure sono arrivati. Poi ci siamo rivolti anche ai militari, ma senza ottenere subito risposta».
«Ogni tanto - continua Fazio - vedevamo su Whatsapp le richieste di aiuto delle altre famiglie. Abbiamo sentito spari e grida. Io avevo la pistola e volevo andare in aiuto ma mia moglie mi ha trattenuto. Verso sera abbiamo avvertito rumori e lo sfondamento di una grande finestra della casa che non aveva serrande. Poi dall'altra parte della porta del rifugio qualcuno in ebraico ci ha detto di uscire tentando di forzare la maniglia. Ma aveva un accento arabo ed ho puntato la pistola. Gli ho detto: "Sono armato, vai via". Lui ha insistito chiedendomi ancora in quanti eravamo chiusi lì dentro». Fazio riprende il respiro prima di continuare. «Quando mi sono accorto che non ce la facevo più a tenere la maniglia, gli ho detto "Io apro ma sparo subito se non mi convinci". Ed ho aperto: dall'altra parte c'erano i soldati israeliani e chi mi aveva intimato di uscire era un soldato druso: israeliano ma con l'accento arabo. Ci hanno portato subito via, scortati insieme ad altri a piedi. Ogni tanto ci facevano fermare per precauzione. Fino a quando siamo arrivati ad una stazione di servizio fuori dal kibbutz. Lì ci aspettavano le auto dell'esercito». 

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