PORDENONE - «Mi scusi, dov’è la moschea per pregare?». «Qui a fianco». La porta è oscurata da fogli di giornale. Lì, una volta, c’era un vecchio calzolaio, uno dei negozietti di paese che adesso sono spariti quasi dappertutto. Una stanza piccola, che però nei momenti di punta accoglie anche venti, trenta persone. Una moschea, appunto. Che però moschea non potrebbe essere, perché i locali sono in concessione ad un’associazione di stampo culturale che all’interno di quella stanza non potrebbe condurre attività come ad esempio la preghiera.
Luogo di culto dei musulmani
In provincia di Pordenone è nato un nuovo luogo di culto della comunità musulmana. Ma non ha nulla a che fare con la “vecchia” moschea della Comina a Pordenone, che deve sottostare a una serie di regole che sono prima di tutto urbanistiche e di sicurezza. La stanza per la preghiera di Casarsa è semplicemente la sede di un’associazione. Tradotto, non sarebbe possibile trasformare lo spazio in un luogo di culto. Eppure è quello che è avvenuto.
Ci troviamo esattamente di fronte alla stazione ferroviaria e a pochi passi da quello che era il vecchio Municipio e che adesso ospita il poliambulatorio della cittadina. L’edificio un tempo ospitava anche un noto bar, ora in vendita. Poco lontano, c’è un ristorantino etnico. La porta che conduce alla moschea “abusiva” quasi non si nota. I vetri sono oscurati con dei fogli di carta, in modo tale da ostacolare gli sguardi indiscreti. All’interno gli spazi sono molto stretti: il vecchio calzolaio che un tempo aveva la sua attività proprio lì, infatti, non aveva bisogno di locali ampi. Tutto un altro discorso, invece, per un luogo di preghiera.
La moschea "nascosta"
La conversazione riportata all’inizio dell’articolo avviene proprio nei pressi del ristorantino etnico, quindi a pochi metri dal luogo di culto “nascosto”. Fuori dall’esercizio commerciale ci sono tre persone. «Certamente, lì c’è la moschea», spiegano indicando la porta che conduce al vecchio negozietto. In realtà era tutto abbastanza chiaro da tempo, davanti alla stazione di Casarsa. Il viavai di fedeli era diventato sempre più importante, con persone provenienti anche dai paesi vicini nei giorni della preghiera. «Qui non si prega il venerdì - spiegano ancora alcuni rappresentanti della comunità musulmana locale - perché quello è il giorno in cui si va a Pordenone, in Comina. Qui si viene gli altri giorni». Dieci, venti, a volte anche una trentina di persone per pregare in uno spazio che avrebbe un’altra destinazione d’uso. «Siamo principalmente africani, albanesi e bengalesi», continuano i “testimoni” di quanto accade di fronte alla stazione di Casarsa.
I centri di preghiera
I centri per la preghiera destinati alla comunità musulmana devono essere a norma, così come devono esserlo tutti gli altri luoghi di culto, dalle chiese alle sinagoghe. In breve, un piano regolatore comunale stabilisce con esattezza quello che si può fare e dove lo si può fare. Non c’entra in questo caso la libertà di culto, tutelata in ogni sede e in qualsiasi momento. Lo stesso capannone della Comina è stato al centro di una lunga procedura burocratica prima di poter riaprire le porte ai fedeli. L’ultimo aspetto riguarda l’attività di controllo preventiva in capo alle forze dell’ordine: nel caso dei centri riconosciuti è costante, se invece si parla di moschee “mascherate” è tutto un altro paio di maniche.