«L'è un teron»: arbitro insultato, daspo di un anno all'allenatore

Mercoledì 20 Novembre 2019 di Pier Paolo Simonato
Flavio Giust. «L'è un teron»: arbitro insultato, daspo di un anno all'allenatore
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PORDENONE - «L'è un teron». Quattro parole scatenano un caso nazionale, con tanto di Daspo, su segnalazione alla Questura da parte di un gruppo di genitori (sembra si tratti di tre persone) dei piccoli calciatori. Solo che il tecnico incriminato giura di non averle mai pronunciate. Non solo: come testimoni a suo favore porta i dirigenti della squadra avversaria e lo stesso dirigente arbitro oggetto del presunto insulto, annunciando un ricorso immediato al Tar contro il provvedimento. Tutto prende le mosse dalla partita tra gli Esordienti (bambini di 11-12 anni) della Sacilese e del Fontanafredda, giocata il 9 novembre allo stadio XXV Aprile della città del Livenza. Dopo aver contestato una decisione del fischietto, il 42enne Flavio Giust, mister dei rossoneri ospiti, si sarebbe girato verso la  panchina. Allargando le braccia, avrebbe detto: «L'è un teron...». Quella frase, che ora la Questura di Pordenone inserisce nell'alveo della discriminazione territoriale, insieme ad altri atteggiamenti, ha contrariato alcuni genitori.

Lunedì ha ricevuto il provvedimento punitivo: per un anno non potrà guidare sul campo i suoi ragazzi, né frequentare alcun impianto sportivo, come succede ai tifosi violenti. L'Ufficio misure di prevenzione dell'Anticrimine gli ha notificato un Daspo che vale per tutti i campionati. Secondo il questore Marco Odorisio, il suo comportamento è diseducativo. «Nella rassegna stampa del mattino - informa Odorisio - ho letto un articolo di giornale in cui i genitori stigmatizzavano la condotta di un allenatore che si esprimeva in modo disdicevole. Ho chiesto alla Digos di accertare cosa fosse accaduto, sentendo persone che avessero assistito all'incontro a Sacile. In base alle informazioni assunte, per tutta la durata della partita il tecnico avrebbe tenuto una condotta verbalmente e materialmente violenta, culminata con un'espressione di discriminazione territoriale. Da qui il provvedimento di divieto d'accesso agli impianti sportivi: la legge 401 dell'89 si applica a tutte le manifestazioni sportive e a tutte le categorie».
LA DIFESAMentre i padroni di casa della Sacilese e lo stesso dirigente arbitro sostengono invece di non aver sentito nulla di allarmante (nel referto stilato a fine gara non c'è traccia del caso), il tecnico dei piccoli rossoneri professa a gran voce la sua innocenza. «Televisioni e siti nazionali mi hanno già dipinto come un mostro, ma io non sono così - assicura Giust, ex calciatore di buon livello, patentato con la guida tecnica da 5 anni -. Lo sa bene chi mi conosce. Soprattutto, lo sanno i miei 28 ragazzi del gruppo Esordienti 2007 del Fontanafredda e i loro genitori. In questo momento sento forte la loro fiducia, come quella della società, e questo mi permette di andare avanti». Una volta assorbito il primo colpo, al momento della notifica del Daspo, ha cominciato a rialzare la testa. Partendo da una considerazione. «Non ho mai insultato chi dirigeva quella partita, dandogli del terrone o comunque utilizzando termini che manifestino discriminazione su base territoriale - garantisce l'ex difensore e centrocampista di Tamai, Sacilese, Liventina, Caneva e FiumeBannia -. Ci sono i testimoni che possono garantirlo e spero che vengano tutti ascoltati al più presto. Di sicuro mi rivolgerò al Tar per una sospensione del Daspo». Ad assisterlo potrebbe essere l'avvocato udinese Nadir Plasenzotti, esperto in diritto sportivo. «Durante la gara riconosco di aver detto tre parolacce, che nella tensione del momento mi sono scappate di bocca - ammette -. Ma non erano rivolte né all'arbitroo né, tantomeno, ai piccoli protagonisti in campo o in panchina. Ho chiesto lumi in proposito anche all'accompagnatore della squadra e me lo ha confermato. Del resto io ho un figlio che gioca a pallone: che razza di esempio sarei per lui se mi comportassi davvero in questo modo?».
Pier Paolo Simonato
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