Ha lottato, sofferto, è uscito dal buco nero nel quale era precipitato sin dai primi minuti. Si è resettato dopo due set horror, trasformando le incertezze in piccoli mattoncini via via che il russo di ghiaccio iniziava ad accusare la fatica. La vittoria della resilienza dopo 3 ore e 46 minuti. Il trionfo di Melbourne è un po' la cartina di tornasole di questo sport dove ingaggi una battaglia personale prima con te stesso che con l'avversario. Jannik la battaglia l'ha condotta in particolare contro il servizio, proprio il colpo che Darren Cahill gli ha cucito addosso per permettergli di svoltare. Quel servizio nei primi due set non entrava nemmeno a spingerlo: il 63% di punti vinti con la seconda palla contro Djokovic si era trasformato in un misero 31% nel primo parziale contro Medvedev. Un dato che rivela tutto. La battuta è il colpo che più risente della tensione che era cucita sul volto di Sinner, alla prima finale Slam della vita, sin dai primi scambi.
Sinner, trionfo dopo 48 anni di attesa
Un Sinner tanto cieco da non capire nemmeno che la diagonale sinistra (rovescio contro rovescio) regalava messe di punti al suo avversario che ringraziava e incassava giocando sempre negli ultimi centimetri del campo. Ma gli dei del tennis hanno la vista lunga e questo era il giorno del predestinato. Il tennista italiano ha messo i piedi in campo, ha sfruttato il suo talento per variare il gioco e finalmente costringere il russo a remare sulla linea di fondo. Più presente alla risposta, di nuovo implacabile al servizio (14 aces finali, di cui solo 3 nei primi due set), un crescendo rossiniano sino alla vittoria per sfinimento dell'avversario, costretto al quinto set per la quarta volta in due settimane. Una finale non bellissima, diciamolo, ma ai fini del palmares questo conta poco. Il trionfo di Melbourne riscatta 48 anni di attese tricolori, da quando Adriano Panatta fu capace di emulare Pietrangeli e portare casa il Roland Garros nel 1976. Ma quello di Sinner è un successo molto più pesante perché a Melbourne, dall'altra parte del mondo, vinci solo se sei preparato come un robot. Per imporsi ai 35 gradi australiani bisogna lavorare come matti a dicembre dopo una stagione appena conclusa e presentarsi alla griglia di partenza dell'anno nuovo già in piena forma. Una forza mentale che solo i grandi del tennis vantano e che mai stata è stata nelle corde di tennisti italiani.
Sinner e la svolta di Pechino
La resilienza di Sinner si vede anche in un altro aspetto. Jannik ha vinto contro il giocatore che era il suo incubo, quel russo ostico e scivoloso che sino a quattro mesi fa lo aveva sempre battuto. Sei sfide, sei sconfitte, alcune di queste nette come il 6-4 6-2 del 2022 a Vienna. Ma anche a Miami, meno di un anno fa, Medvedev si imponeva con un chiaro 7-5 6-3. Poi il 4 ottobre 2023 giorno tutto cambia. Non ci sarebbero stati i trionfi su Djokovic, la Davis, gli Australian Open, senza senza la finale cinese vinta grazie a due tie-break. È in quel momento che l'altoatesino capisce che tutto il lavoro fatto con il team (Cahill e Vagnozzi sono da applausi) gli consentirà di diventare grande. Pechino - un semplice Atp 500 - è la svolta e porta allo Jannik solido e quasi perfetto degli ultimi mesi. Quello capace di vincere quattro match consecutivi contro il russo di ghiaccio e soprattutto rimontargli oggi due set in una finale Slam. I paragoni ora si sprecano. Il trionfo di Sinner come quello di Flavia Pennetta agli Us Open? O magari, per uscire dall'ambito tennistico, come Italia-Germania 4-3? La realtà è che vale molto di più. Jannik ha gettato le basi per diventare il numero 1 del tennis. E restare tale a lungo. La resilienza, appunto. Il ragazzo di San Candido è appena all'inizio.