La doppia morale/ L’ultimo sfregio alla Capitale

Domenica 11 Marzo 2018 di Mario Ajello
Un sì, alle Olimpiadi a Torino, che oggi suona come un nuovo sfregio a Roma, come un altro oltraggio ai romani. Ciò che è stato negato a suo tempo all’attuale Capitale d’Italia, un progetto di rilancio, un’idea di futuro, la possibilità di pensarsi in grande e di rilanciare la propria immagine guastata da anni di scarsa amministrazione, viene ora concesso alla ex Capitale e il no del movimento grillino a Roma 2024 si capovolge nel sì a Torino 2026. In una apparente schizofrenia, che in realtà è un calcolo politicista difficile da vestire nobilmente. 

Non che Torino non meriti di avere le Olimpiadi invernali. Tutt’altro. Va benissimo che - speriamo - le abbia. Ma invece di un nome di un solo sì, il giusto atteggiamento da parte M5S sarebbe stato di darne due: un sì a Roma e un sì a Torino. Ne sarebbe uscita bene l’Italia. E invece, lo stop dettato da Grillo alla giunta Raggi pensava di avere un’aria eversiva, voleva essere una forzatura pseudo-rivoluzionaria, ambiva a mostrare una presunta potenza di moralità ma del tutto autoreferenziale. Il via libera ai Giochi dettato da Grillo alla giunta Appendino è una capriola altrettanto gonfia di ambiguità, è una nuova forma di falsa coscienza, una trovata a dispetto, proveniente da nord, contro quelle che erano e che restano le legittime ambizioni di Roma a darsi ogni possibile occasione di crescita e di sviluppo. 

Grillo - visto che lui decide, e non la Raggi e neppure la Appendino, e visto che lui con una telefonata d’imperio ha annichilito tutti i dubbi dei grillini torinesi dubbiosi - dovrebbe spiegare come mai le Olimpiadi nella Capitale sarebbero state “uno spreco di risorse pubbliche e un ottimo affare soltanto per le speculazioni”, mentre quelle di Torino sarebbero “un’opportunità da non perdere”. Siccome il fondatore di M5S - il quale ha regalmente investito del ruolo di capo politico Di Maio ma il capo continua evidentemente a farlo lui e ha scavalcato e oscurato Giggino in questa vicenda - spiegazioni vere non ne darà, vale la pena cercare di ricostruire questa doppiezza e questo camaleontismo discount partendo da una constatazione che invece è molto lineare. Un partito che ha i suoi voti quasi soltanto nel centro-sud penalizza il centro-sud, pretendendo di condannarlo, a furia di no e poi no, alla decrescita felice e alla dipendenza da reddito di cittadinanza che sarebbe a questo punto più giusto definire di pre-cittadinanza, in quanto più che a un popolo a una plebe sembra rivolgersi. E in questo approccio penalizzante, perfino la Capitale è stata fatta rientrare. 

L’incoerenza dei grillini sta insomma nel mettersi di traverso rispetto ai territori che costituiscono il bacino di consensi del movimento. Per ambire sgangheratamente - fino alla vigilia del voto di domenica scorsa la sindaca Appendino diceva: “Non esiste nessun dossier Olimpiadi” - a una ricerca di popolarità, magari in vista di nuove elezioni a breve, in quelle contrade settentrionali rivelatesi fredde e sorde di fronte al messaggio pentastellato. È stata azionata insomma un’arma di recupero, secondo la più classica delle vecchie tradizioni. 

Torino, non a caso, è una delle città in cui lo scorso 4 marzo M5S è andato particolarmente male, arrivando terzo. Ed è anche la città in cui la sindaca che doveva essere il volto virtuoso della buona amministrazione grillina, in contrapposizione alle incapacità della giunta romana, s’è rivelata molto simile, se non più inadeguata, alla collega del Campidoglio. Torino subisce un deficit di buon governo che non si sarebbe mai aspettata in queste proporzioni. E non si capisce come una giunta che non ha saputo gestire la festa della Juve in Piazza San Carlo - risultato: un morto, tanti feriti, diversi indagati compresa la sindaca e choc non ancora superato - possa ambire ad allestire un evento colossale e complesso come i Giochi. 

La toppa Olimpiadi - con il suo portato di comicità degna di un comico ma anche di un pizzico di pregiudizio razzistico per cui ciò che a Roma è un ladrocinio a Torino è una fonte di purezza manageriale - diventa così un espediente di pronto impiego. E dire Torino significa anche dire Milano, visto che le Olimpiadi 2026 verrebbero concepite in uno scenario allargato. C’entrerà qualcosa il fatto che la Casaleggio Associati è più vicina alla capitale piemontese e a quella lombarda - qui ha la sua sede - piuttosto che a Roma? Ma certo che c’entra.
 
E c’entra anche un’altra questione: il sì a Torino che contraddice il no a Roma deriva dalla scoperta tardiva dell’importanza dell’evento olimpico, oppure gli stessi grillini non si fidavano delle capacità organizzative della giunta Raggi? Di fatto, da un no distruttivo s’è passati a un sì di convenienza di bottega e la doppia morale sembra in questo caso funzionare così: quando serviva fare gli ideologi della purezza in nome della “discontinuità”, il no a Roma 2024 cadeva a pennello; quando occorre esibire una vocazione governista, in avvicinamento a Palazzo Chigi, si ricorre all’esibito ripudio della vecchia retorica no-ista a prescindere dalle questioni di merito. Visto che, nel merito, dire che Torino sia adatta ai Giochi perché ha già gli impianti (quelli delle Olimpiadi invernali del 2006), mentre Roma sarebbe sprovvista di tutto, è un insulto all’evidenza. 

Le vere Olimpiadi intraprese da M5S, tra Roma e Torino, sembrano così essere quelle della corsa propagandistica e dello slalom tra l’etica della responsabilità (il paletto da abbattere) e l’etica della convenienza (il trofeo da agguantare). E il traguardo da raggiungere è il bene del movimento e non il bene delle città e della città più importante di tutte. 

 
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