Rugby, allenamento insieme agli All Blacks: il sudore degli Dei Video Foto

Sabato 12 Novembre 2016 di Paolo Ricci Bitti
In allenamento con gli All Blacks

Nel novembre 2004 gli All Blacks, che non avevano mai giocato a Roma, ammisero un cronista a un loro allenamento sul campo dell'Unione rugby capitolina come non era mai avvenuto in Europa. La cronaca di quel pomeriggio così come venne pubblicata allora sul Messaggero. L'Italia affronta di nuovo la Nuova Zelanda domani alle 15 all'Olimpico nel terzo e ultimo Cattolica Assicurazioni test match autunnale.

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Paolo Ricci Bitti


La botta è forte: da ko. La terra trema e lapilli d'erba e sabbia volano lontano là dietro: per restare in piedi bisogna aggrapparsi ai compagni. Poi 890 chili di muscoli, urla, sbuffi e sudore cominciano a spingere per il campo un'altra tonnellata di carne viva e fumante come se fosse la carrozzina di un neonato .

E' la mischia degli All Blacks contro la mischia meccanica: tecnologia minima (la macchina della mischia) contro la sopraffina tecnica fisica e mentale di otto giganti che stringono i denti e arano il campo con i tacchetti per entrare nel mito conquistando la maglia da rugby più ammirata del mondo. Funziona così e per vederlo proprio da vicino bisogna essere piloni avversari degli All Blacks oppure ospiti sul campo dell'Unione Capitolina durante un allenamento dei "Tutti neri" che, con la regia del loro sponsor "perpetuo", l'Adidas, hanno ammesso per la prima volta un cronista fra di loro.



La macchina della mischia è un semplice angolo retto di tubi d'acciaio, fate conto un reggilibri: il piano più lungo, 2 metri e 80, striscia a terra; quello più corto, un metro e 10, sostiene quattro cuscini verticali su cui appoggiano le spalle i tre della prima linea.

Oddio, appoggiano... Il metallo geme e i cuscini piangono quando Mike Cron, l'allenatore-sergente di ferro della mischia (uno dei 18 tecnici dello staff guidato da Graham Henry) grida: "Scrum" (mischia).
 


Dietro i tre della prima linea, Somerville, Oliver e Taumoepeau, ci sono altri cinque giocatori: sono 8, ma è come se fossero un solo caterpillar, altrimenti non potrebbero scarrettare la macchina appesantita da 11 di loro, cronista compreso. A dieci centimetri dal pilone Somerville, 110 chili, dal suo paradenti che stride come le gomme sull'asfalto e dalle sue guance prossime a scoppiare, viene da pensare perché i piloni guadagnano direttamente il Paradiso dopo aver provato l'Inferno in Terra.

Allora sotto: una, due dieci mischie, poi tocca alle riserve, ma è la stessa cosa, anzi ancora più sbuffi, grugniti e facce dure perché quella maglia va conquistata a tutti i costi. Tra i passeggeri anche Ali Williams, 2 metri e 2 per 115 chili, che si regge a una spalla dell'ospite molto più sotto di lui e poi stringe un occhio per dire: "Tutto ok?" Adesso sì, mentre va meno bene quando Graham Lowe, allenatore del fitness, dà all'ospite ripetizioni private di placcaggio, side step (cambio di passo) e percussioni per poi ordinargli di seguire attorno al campo la mezz'ora di corsa di Corey Flinn, 2 caps, tallonatore di 108 chili, e di Luke McAlister, centro-apertura di 98, capitano dell'under 21 campione del mondo, che devono fare lavoro a parte perché leggermente infortunati.



Se non fosse che questi ventenni messi insieme fanno giusto l'età del cronista non sarebbe troppo dura, ma i maledetti allungano. E non tagliano mai gli spigoli del campo... Intanto in mezzo al campo i co-allenatori Steve Hansen e Wayne Smith impongono azioni a velocità supersonica ai reparti degli avanti e dei trequarti: incroci, raddoppi, finte pazzesche senza che l'ovale finisca mai a terra per la gioia stupita e felice dei mille bambini sulla tribuna della Capitolina. Mai gli All Blacks erano approdati a Roma e si vede.



L'allenamento dura un'ora e 30 minuti, e incitazioni a parte, dai giocatori non esce una parola: concentrazione assoluta. Le bocche dei giganti si riaprono nello spogliatoio, soprattutto per mangiare frutta frullata, collose barrette di cioccolato "all'odore del bosco" che serve davvero una mandibola da All Blacks e persino - questa è dura da mandare giù - tonno al peperoncino. Tutto curato dall'arzillo Errol Collins, che sposta in giro per il mondo tre tonnellate fra attrezzature e cibo al seguito del gruppo di quasi 60 persone, di cui 32 giocatori.

Tana Umaga, il capitano, sta bevendo quando vede la manina di un bambino che sbuca da sotto la porta porgendo carta e penna per anticipare i mille rivali che rumoreggiano fuori: beh, il capitano degli All Blacks si china e firma sul pavimento. Doug Howlett, il bellissimo, si avvicina e chiede come si dice, presumibilmente a una ragazza: «Parlo poco l'italiano».

No, almeno l'altro ieri, Ma'a Nonu non si è rifatto il trucco attorno agli occhi col mascara, make up riservato, a suo dire, solo ai test match. Sorrisi, cortesia: «Prego, prima tu, avanti, perché non assaggi il tonno?», questi All Blacks sono davvero alla mano, curiosi di sapere che ci fa un cronista negli spogliatoi.

Nota: dopo 14 anni Mike Cron è ancora il tecnico della mischia degli All Blacks che nel frattempo hanno vinto i mondiali nel 2011 e nel 2015. Il suo è un record assoluto di longevità. Ogni volta che incontra di nuovo il cronista, che sia in Nuova Zelanda o in Inghilterra oppure a Roma, come è avvenuto in questi giorni, gli dice "Scrum" e gli appioppa una devastante pacca sulle spalle.

 

Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 03:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA