Finora ci siamo solo scaldati: con la Scozia a casa sua e con il Galles a Roma in formazione sperimentale era facile perdere di poco. Adesso tocca a Irlanda, oggi alle 16 all'Olimpico (DMax dalle 15.15) e Inghilterra, sabato 8 marzo a Twickenham, ovvero le nazionali che davanti a loro hanno solo gli All Blacks. Che poi gli irlandesi li hanno pure battuti a novembre. Mettiamo le mani avanti? Sì, e anche i piedi, infallibili, di Johnny Sexton, 33 anni il mediano di apertura irlandese, il migliore del mondo: se parte titolare non perde mai grazie a drop micidiali e coraggio leonino nei placcaggi.
Le mani avanti anche perché agli allibratori non importa giustamente nulla che proprio l'Irlanda sia stata l'ultima squadra a cadere a Roma nel remoto 2013: di lì in poi solo legnate tanto che per oggi si scommette su uno scarto di 35 punti nella probabile ventesima sconfitta di fila degli azzurri nel Sei Nazioni. Epperò, nonostante queste cupe premesse, si perpetua di nuovo il fenomeno del Torneo con l'epifania di almeno 50mila fedeli nello stadione, fra i quali 10mila in maglia verde.
Con loro anche il vescovo ausiliare di Dublino, Eamonn Walsh e un numero variabile di cardinali e alti prelati irlandesi che vanno in curva, e non in tribuna Autorità, insieme ai colleghi pastori protestanti, perché anche in tempi di Brexit, per non ricordare i Troubles nordirlandesi degli anni Settanta, il culto del rugby continua a prevedere un'isola unita con un'unica nazionale: tutti insieme, da Belfast a Cork, oggi contro gli azzurri che pure da quest'anno alla fede saldissima nei loro mezzi hanno aggiunto quella di Cattolica Assicurazioni, sponsor della nazionale.
Proprio Walsh - longilinea seconda linea che ha giocato a Roma negli anni '60 durante gli studi in Vaticano e amico di famiglia del ct azzurro O'Shea - durante un pellegrinaggio dublinese, indicò il campetto di una scuola media in periferia in cui Sexton a 13 anni aveva fatto vincere il torneo cittadino al suo istituto con un drop a tempo scaduto. Indicò anche il negozio di parrucchiera di Clare, la madre di Johnny, che anche questa settimana ha fatto i capelli alla madre di O'Shea, tanto per dire che cosa significhi il match odierno per l'allenatore chiamato al timone dell'Italia proprio da quando l'Irlanda è diventata una potenza inavvicinabile.
Nel Sei Nazioni, lui che nel 1997 giocava per l'Irlanda che dagli azzurri le prendeva, non ne ha ancora vinta una, ma continua con coerenza a sfornare con quello che ha la miglior nazioonale possibile, mentre al tempo stesso sta riformando il movimento italiano come nessuno ha mai fatto prima, vedi la stagione impetuosa del Treviso che ieri ha mazzolato 57-7 i Dragons gallesi in Pro14: i frutti più maturi della semina di O'Shea li raccoglieranno i ct del futuro, ma per adesso strade diverse non ce ne sono.
Oggi gli mancano ingredienti-base come il talismano Parisse e gli arieti Negri e Polledri, oltre al gigante Sisi influenzato in panchina. Recupera almeno il mediano di mischia Tebaldi, e fa partire da subito il talentuoso Ruzza in seconda linea. Gradi da capitano al veterano Ghiraldini: «Vogliamo imporre il nostro rugby» dice convinto perché sa che ci metterà l'anima per riuscirci.
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