PERUGIA - Tre anni e quattro mesi di carcere.
Dopo la fine della loro storia, infatti, come ricostruito quasi un anno fa nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Angela Avila, sui social sono spuntati gruppi con il nome della giovane seguito da “Hot”, profili con il suo nome sulla piattaforma social e messaggi hard con il suo numero di telefono in calce. Abbastanza perché la ragazza abbia avuto la necessità di un percorso terapeutico, tra angoscia e impossibilità di dormire. L'ex, però, si è sempre detto innocente. Ed estraneo rispetto a messaggi violenti e diffusione delle immagini, addebitando tutti i reati «a un presunto gruppo “criminale” - ha riassunto all'epoca il procuratore capo Raffaele Cantone - interessato alle vicende sentimentali della coppia» e che lo avrebbe aggredito per rubargli i suoi strumenti informatici ed estrapolare, per poi pubblicarle, le immagine intime della ragazza. Una difesa che una perizia in realtà ha smontato, tanto che la procura, con il pm Franco Bettini, ha contestato al giovane anche la simulazione di reato.
Ma in aula ieri, nel corso del rito abbreviato davanti al giudice Margherita Amodeo, è andata in scena una lunga battaglia a suon di perizie informatiche. Con la procura e la parte civile - rappresentata dall'avvocato Laura Modena – a sostenere le accuse “oltre ogni ragionevole dubbio” e la difesa, con l'avvocato Delfo Berretti, a provare a smontarle sostenendo come quelle immagini fossero in realtà in possesso di entrambi i ragazzi. E che quindi non ci siano prove che sia stato il suo assistito a diffonderle, quanto un terzo a cui magari è stata la stessa vittima a inoltrarle.
Una battaglia legale da giocare sul filo dei file, dopo le indagini della polizia postale che hanno indagato anche su quegli sms di natura minacciosa, inviati attraverso sistemi informatici di «anonimizzazione del mittente». Via WhatsApp, Instagram e Telegram, anche attraverso la creazione di gruppi, con testi di questo tenore: «Continueremo a rovinarti... Se ti becchiamo in giro ti stupriamo e ti abbandoniamo in un campo. Muori gambe da ippopotamo». E con le stesse modalità sono stati inviati messaggi «aventi contenuti di tipo esplicitamente sessuale, anche ad amiche/amici e conoscenti della persona offesa, finanche a gruppi di ambiente universitario». Si torna in aula, per le ultime repliche e la sentenza, il prossimo 26 marzo.