Usa, i giocatori si inginocchiano durante l'inno: il vicepresidente Pence se ne va

Domenica 8 Ottobre 2017
Usa, i giocatori si inginocchiano durante l'inno: il vicepresidente Pence se ne va
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Torna con prepotenza nella domenica pomeriggio americana la polemica sulla protesta in campo dei giocatori di football, in ginocchio durante l'inno nazionale.

Con il vicepresidente Mike Pence che lascia lo stadio di Indianapolis quando alcuni dei giocatori replicano il gesto durante l'incontro tra i 49ers e i Colts. Pence aspetta la fine dell'inno e poi se ne va, con la benedizione del presidente Trump, anzi, con la sua spinta, visto che su Twitter il presidente spiega subito di aver chiesto lui a Pence di reagire, nel caso si fosse ripetuto il gesto. E lo elogia. «Ho chiesto io al VP Pence di lasciare lo stadio se i giocatori si fossero inginocchiati mancando di rispetto al nostro Paese. Sono orgoglioso di lui e della SecondLady Karen», ha scritto Trump su Twitter, mentre Pence a sua volta rimarcava i motivi della sua di protesta, ribadendo la linea dell'amministrazione sulla polemica che va avanti da settimane: «Ho lasciato oggi la partita dei Colts, perché il presidente Trump ed io non daremo dignità a nessun evento che manca di rispetto ai nostri soldati, alla nostra bandiera o al nostro inno nazionale», si legge in una nota diffusa dalla Casa Bianca e pubblicata anche sul profilo Twitter di Pence.
 
 

Sintonia perfetta sul tema quindi alla Casa Bianca. Non lo stesso si può dire per l'aria che tira fra lo Studio Ovale e Capitol Hill e in particolare con alcuni repubblicani sulla "collina del potere", visto il duro scontro consumato, in poche ore, tra il presidente e un senatore Gop, Bob Corker, che ha arroventato la piovosa giornata a Washington. Lo scontro Trump-Corker "ruba la scena" al plateale gesto di Pence, quando ai primi tweet del presidente sul senatore del Tennessee segue replica piccata dell'interessato e infine anche una smentita in piena regola, attraverso il chief of staff di Corker. È Trump a twittare per primo: «Il senatore Bob Corker mi ha "supplicato" di appoggiarlo per la sua rielezione in Tennessee. Gli ho detto "No" e si è ritirato (ha detto che non poteva vincere senza il mio endorsement)», ha scritto, affermando inoltre che Corker gli aveva chiesto di essere nominato segretario di Stato: «Ho detto NO GRAZIE», ha replicato ancora.

La risposta a tono di Corker non si è fatta attendere: «È un peccato che la Casa Bianca sia diventata un asilo per adulti», ha twittato. E, poco dopo, il suo chief of staff, Todd Womack, ha smentito Trump affermando che il presidente ha chiamato Corcker la scorsa settimana per chiedergli di riconsiderare la decisione di non ricandidarsi e sottolineando che lo avrebbe appoggiato. L'episodio è destinato a far discutere mentre gli osservatori tentano di rintracciare il "peccato originale" di Corker che possa aver suscitato l'ira del presidente. Riemergono così dichiarazioni del senatore di qualche giorno fa quando, lodando l'operato del capo del Pentagono James Mattis, del segretario di Stato Rex Tillerson e del chief of staff della casa Bianca John Kelly, disse, in sostanza, che sono loro a proteggere il Paese dal caos.

 
 

Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 17:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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