L'albero del Ghetto: la memoria riunita degli ebrei veneziani dalla Grande Guerra alla Shoah

Mercoledì 18 Ottobre 2023 di Alessandro Marzo Magno
Cerimonia in sinagoga per l'insediamento del rabbino di Venezia

VENEZIA - Un detto ebraico afferma che nessuno è davvero morto fin ché se ne ricorda il nome.

Ecco, Edoardo Salvadori ha impedito le definitiva scomparsa di qualche migliaio di ebrei veneziani, e la loro memoria andrà avanti ancora per un bel po’, visto che i nomi sono stampati nero su bianco all’interno di un libro. Esce il secondo volume di “L’albero del Ghetto”, con il sottotitolo “Repertorio ragionato dello stato civile della Comunità ebraica veneziana. Gli anni difficili dalla Grande guerra alla Shoah 1915-1945”. Il volume precedente, uscito nel 2016, in occasione dei 500 anni dalla fondazione del Ghetto di Venezia, riportava lo stato civile della Comunità dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale. L’opera è edita da Giuntina. L’autore, il cui nome completo è Edoardo Gesuà sive Salvadori, ha trascritto tutti gli atti anagrafici della Comunità veneziana: nascite, matrimoni, morti, degli ebrei veneziani dall’Unità d’Italia. Un lavoro improbo, durato una decina d’anni, con il periodo della pandemia che ha costretto l’autore a lavorare soltanto da casa e quindi a interrompere le ricerche d’archivio e le visite ai cimiteri. Già, perché l’impresa ha richiesto decine e decine di verifiche, di ricerche di pietre tombali.

INEDITO

Quando ha visto il primo volume ancora manoscritto uno storico (Salvadori non ha voluto rivelare chi fosse) lo ha apostrofato: «Sei pazzo». In effetti lo è talmente che, invece di lasciare, ha raddoppiato e si è messo lavorare sul secondo volume. È l’unica ricognizione del genere fatta su una comunità ebraica in Italia (ma è ragionevole pensare che non vi sia niente di simile neppure altrove). Salvadori è ingegnere, ha sempre avuto la passione per la genealogia, ha cominciato a disegnare un albero genealogico a quindici anni, poi l’ha messo in un cassetto e l’ha ritirato fuori quattro decenni dopo, alla vigilia della pensione. «Questo lavoro mi ha appassionato», dice, «sono convinto che sarà utile agli storici, ai curiosi e a chi cerca le proprie radici. Ho ricevuto mail e telefonate da persone che avevano un avo ebreo che mi chiedevano di saperne di più». Continua Salvadori: «Ho sempre avuto la curiosità di capire gli intrecci tra le famiglie ebraiche veneziane, tra quelli che definivamo “ebrei de su”, ovvero i benestanti che vivevano fuori dal Ghetto e gli “ebrei de zo”, cioè i più poveri, che abitavano ancora dentro o vicino al Ghetto». Spoiler: le mescolanze erano rare, un tempo come oggi le distanze sociali sono sempre state le più difficili da coprire, a prescindere dalle appartenenze.

PERSONAGGI

«Avevo il desiderio di fare e trasmettere memoria», osserva, «sono riuscito a nominare tutti, di alcuni ho riportato soltanto il nome, di altri ho reperito più notizie. Ho trovato personaggi di altissimo spessore, che hanno fatto la storia». Uno per tutti: Bruno Rossi, nato il 13 aprile 1905. È uno dei fondatori dell’istituto di fisica dell’università di Padova dove dal 1932 insegna fisica sperimentale e nel 1938 lo cacciano dalla cattedra a causa delle leggi razziali. «L’hanno mandato via senza neanche un saluto, l’unico che si è messo addirittura piangere vedendolo andare è stato il bidello». Rossi emigra e lavora al progetto Manhattan assieme a Robert Oppenheimer ed Enrico Fermi, dopo la guerra insegna al Mit di Boston, muore nel 1993. «Sono andato a cercarne la tomba nel cimitero di Firenze dov’è sepolto», spiega Salvadori, «ha una lapide molto modesta, sobria. Adesso so che stanno cercando di riabilitarne la figura».

GLI ABITANTI

Il Ghetto di Venezia tra XVI e XVII secolo era arrivato ad aver 4/5 mila abitanti; nel 1871 gli ebrei veneziani erano 2667; nel 1901 erano scesi a 2474; nel 1938, alla vigilia delle leggi razziali, se ne contravano 1471; nel 1948, all’indomani della Shoah ne erano rimasti 1050; oggi sono circa 400. Il processo di ridimensionamento della Comunità è cominciato a metà Ottocento e prescinde dalla Shoah, che pure ha colpito pesantemente gli ebrei veneziani (230 deportati, solo otto sopravvissuti). Assimilazione ed emigrazione sono state le due cause dell’assottigliarsi della Comunità. I registri riportano una messe di dati. Tra Otto e Novecento di verificano numerosi suicidi, in alcuni casi anche clamorosi, come quello delle quattro sorelle Elisabetta, Margherite, Enrichetta e Marj Bendana, dai 17 ai 22 anni, che si tolgono la vita con il gas contemporaneamente il 24 luglio 1893 nella loro casa di San Giovanni Grisostomo. La madre era morta, il padre non aveva retto il colpo ed era uscito di senno, le ragazze si sono sentite perdute e hanno deciso di farla finita. Questo caso è tuttavia riportato nel primo volume, perché il fascismo ha vietato di indicare il suicidio come causa di morte e di conseguenza, all’improvviso, i suicidi sono spariti.

CRONACA NERA

Altro avvenimento che ha scosso la Comunità veneziana, e l’intera città, è stato quello di Gilda Cesana, uccisa il 12 giugno 1945 da uno dei partigiani che stavano cercando il suo amante, un giornalista e ufficiale delle Brigate Nere, sfuggito alla cattura. La donna, separata dal marito, il conte friulano Bruno di Prampero di Ravistagno, abitava a San Filippo e Giacomo. Un gruppo di quattro partigiani del nucleo Tutela ordine pubblico irrompe a casa sua chiedendo dell’amante, lei risponde di non sapere dove fosse. Uno dei quattro estrae un pugnale e la colpisce alla gola e al petto: Gilda Cesana cade riversa in un lago di sangue. Due anni più tardi il suo assassino viene condannato e finisce nel manicomio criminale di Reggio Emilia. «Un caso che mi ha colpito», prosegue Salvadori, «è quello della famiglia dei baroni Franchetti, una famiglia molto in vista nell’ambito ebraico che un po’ alla volta si è tutta convertita. Uno dei fratelli, Carlo, era alpinista e faceva parte del gruppo che ha costruito le glorie di Cortina, un altro, Raimondo, era un celebre esploratore in Africa». Tra l’altro una delle figlie di quest’ultimo, Afdera, oggi novantaduenne, è stata la quarta moglie dell’attore Henry Fonda. L’impegnativo lavoro di Edoardo Salvadori testimonia del passato di una Comunità sempre più esigua, dal futuro incerto. I quattrocento ebrei veneziani rischiano di fare la stessa fine degli altri abitanti della città in cui vivono. Salvadori spiega che fino a non molti anni fa i figli delle coppie miste venivano accettati con facilità, oggi invece i criteri si sono molto irrigiditi e rendono difficoltoso il cammino per diventare ebrei a pieno titolo. «Senza considerare la situazione attuale con una visione più ampia», conclude Salvadori, «stiamo parlando di una cultura che rischia di scomparire».

Ultimo aggiornamento: 11:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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