Luca Ricolfi

Intanto cominciamo a chiamare le cose con il loro nome: quello

Sabato 22 Settembre 2018
Luca Ricolfi

Intanto cominciamo a chiamare le cose con il loro nome: quello su cui si polemizza in questi giorni non è il reddito di cittadinanza, che non esiste in nessuna parte del mondo (quello dell'Alaska è un modesto bonus di meno di 200 dollari al mese), e in Svizzera è stato rifiutato dalla maggioranza dei cittadini in un recente referendum. Quello di cui si parla è semplicemente il reddito minimo, una misura universale di sostegno del reddito che esiste da anni in tutti i paesi dell'Unione europea (tranne che in Grecia), e in Italia è stata progressivamente, e molto limitatamente, introdotta dagli ultimi governo di centro-sinistra.
In linea generale il reddito minimo è un sussidio che viene erogato a chi non raggiunge una certa soglia minima di reddito, ed è legato al rispetto di alcune condizioni, tipo frequentare corsi di formazione, cercare attivamente un lavoro, essere disponibile ad accettare (ragionevoli) offerte di lavoro. La filosofia è sostanzialmente la medesima di quello che i Cinque Stelle si ostinano a chiamare reddito di cittadinanza, sicuramente un'espressione più glamour che minimo vitale, o sussidio ai poveri, o social card.
Ma quando si può dire che una misura di reddito minimo funziona bene?
Le condizioni base sono tre.
La prima è che la misura sia destinata ai poveri veri e propri, che sono solo i poveri assoluti, ossia chi fa parte di famiglie che non sono in grado di acquistare (...)
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